Vorrei avere uno
scrigno per poterci infilare ogni momento.
Il piedino che mi
sta in una mano.
Questi enormi
occhi lucenti da piccolo gufo.
Il monociglio da
Elio.
La testa che sembra un kiwi.
Ci vorrei infilare
l’odore di nanne nel collo.
La manina che mi
tiene il dito.
La voracia.
Lo stupore che mi
fionda addosso all’idea che io, mezza scassata come sono, riesco pure a
generare il suo nutrimento.
Vorrei infilare
in uno scrigno la cosmica tenerezza che mi riempie all’idea che gli basto io, che riesco a risolvere ogni suo problema.
Vorrei conservare
per sempre la sensazione di cristallina purezza, dove non ci siamo ancora fatti
del male, dove io non ho ancora fatto in tempo a sbagliare nulla, dove lui non
è ancora riuscito a ferirmi con l’egoismo tipico dei figli. Lui è l’unico a non
rimproverarmi nulla ed è l’unico a cui non ho nulla da rimproverare.
Io sono la sua
casa e lui è la mia e questa cosa ovviamente e giustamente finirà, ma io vorrei
ricordarmi esattamente questi mesi.
Vorrei non
dimenticare la sensazione di perfetta felicità, quando mi si addormenta in
braccio. E non voglio altro. Non sento la fame, i 9 mesi di insonnia, non penso
alla devastazione della mia vita personale, professionale, sociale. Nulla. Solo
io e il mio botolo stupendo. Tondo, caldo, soffice e luminoso come una palla di
luce.
Vorrei fermare il
tempo e restare così, insonne, stanca, con la stessa felpa da settimane, con il
latte che mi gocciola, la pancia che sembro ancora all’ottavo mese di
gravidanza, i capelli da strega, il colore di un cadavere decomposto e un senso
di completa isolazione dal mondo.
Vorrei passare la
vita a leggere filastroche e guardare questo qua che ride quando faccio le
voci. Vorrei passare la vita a fargli i massaggini e sfiorare con le punta delle
dita le sue minuscole ditina, mordicchiare i rotolini e sentire i suoi
gridolini da pagliaccio.
Forse sono nata
per essere madre. Peccato averlo scoperto solo ora e solo così.