lunedì 5 giugno 2023
05.06.2023
lunedì 27 giugno 2022
68
Oggi è il giorno in cui mia mamma soleva preparare una grande torta con fragole fresche.
Era il giorno in cui si chiamava la Bulgaria e ci mettevamo ad urlare tutti insieme, senza ascoltarci, senza sentirci, ridendo di noi stessi, e brindando con vino freddo.
La più squillante delle ragazze, la più irriverente del clan, oggi avrebbe compiuto 68 anni e avrebbe risposto al telefono tossendo e battendo le traduzioni con una mano sul suo scassato computer. Avrebbe spietatamente stroncato tutti i nostri auguri, invitandoci ad infilarli nei rispettivi ani e di darle finalmente dei nipoti, invece di cazzeggiare.
Dove sei adesso che dovresti rompermi le palle da mattina a sera, agitandoti come un gabbiano affamato per ogni minchiata riguardante il bambino? Ti sembra giusto non esserci? Ti sembra giusto lasciarci soli? Chi ci sdrammatizza? Chi ci interrompe gracchiando? Chi ci insulta? Come faccio io a moltiplicarmi, se tu non sei lì a spiegarmela? Passano i mesi, gli anni, eppure io non riesco ancora a capire perché si debbano perdere le persone che servono per acquisirne di inutili.
Vuoto.
Mi manca la casa.
Mi manca l'odore delle lunghe tende beige, dietro le quali mi piaceva nascondermi da piccola e immaginare di essere invisibile, mentre la casa si riempiva di voci di donne.
Mi manca vedere la casa dal basso, con sguardo di bambina, dove tutte le persone che amo erano vive, giovani e forti.
Sembra di essere una gallina spennata.
Senza forze.
Mi mancano le persone che sapevano darmi forza.
Non voglio diventare grande.
martedì 21 giugno 2022
La Tradisiòn
Correva l'anno 2016, 31 dicembre.
Il giorno dopo partivo per la Georgia.
Avevamo bidonato tutti gli inviti per festeggiare il capodanno e ci aggiravamo per Verona con un'aria di completa estraneità al generalizzato spirito capodannesco.
In piazza Bra c'era Jerry Calà e io ero infinitamente orgogliosa del fatto che non ce ne fregasse un cazzo di feste, che ci bastavamo, che non serviva niente per essere felici.
Siamo passati in questo baretto dove andavamo spesso, quando eravamo a Verona. Ci siamo fatti un paio di grandi spritz e avevo la netta sensazione di essere completamente isolata dai rumori, dalle risate, dal freddo. Bolla. Bello.
Torno di nuovo in questo baretto, si chiama la Tradisiòn. Mi fa ridere. Io, che ho sempre sognato di creare delle tradizioni, io che ne ho sempre avuto un disperato bisogno, io che poi arrivo ad oggi che sembro una tillandsia senza radici, senza un punto fermo. Entro. Mi appoggio. Apro il libro. Guardo esattamente quel tavolino e penso che, questa volta, ci porto un altro ragazzo, il ragazzo che ho nella pancia, anche lui nella sua bolla, anche noi isolati dal resto del mondo. Solo noi e un libro e questa perenne sensazione di vivere dietro un vetro.
Il bar è molto bello, lo consiglio sempre a chi è in centro e vorrebbe piazzarsi in un limbo tra il locale fighetta e la delocalizzazione cinese.
La barista è molto bella. Le ho chiesto un succo al pomodoro con tabasco rinforzato per mimetizzare l'assenza di vodka e mi sono guadagnata una giornata di gastrite acuta e defecazione infuocata. Mio figlio danzava sulle braci. Faceva caldo e io continuavo a vivere con questa sottilissima nostalgia luminosa.
Scrivimi, quando arrivi.
giovedì 9 giugno 2022
occupazione russa everywhere
Tutti, o quasi, mi ridevano in faccia, domandandomi che cazzo di senso abbia andare a fare il ponte in un posto che posso raggiungere in un'ora di macchina, un posto, tra l'altro, da nonnetti, senza nessun tipo di attrazione, tranne quattro pini e qualche casupola.
martedì 17 maggio 2022
LB
lunedì 16 maggio 2022
Il sale della vita
Si ride. Le risate salvano la mia famiglia da tempo immemore. Mi piace pensare che, anche i miei antenati si sganasciavano in Persia. Ridiamo in faccia alla morte, alle guerre, alla fame, alla nostalgia, alle assenze. Grasse, liberatorie, ciniche, taglienti risate. Ci amiamo insultandoci e prendendoci in giro. Non tutti lo capiscono. Ferisco un sacco di persone con la mia strana maniera di amarle. Non so esprimere l’affetto, se non attraverso gli insulti. Mi sento amata, quando presa per il culo e mi sento a disagio, quando mi si elogia. Siamo sempre stati parchi con la verbalizzazione. Sembra quasi di aver paura di dire “darei tutto per te”, sembra che qualcosa possa rompersi, se lo si dice. E le poche volte che si dicono cose belle, queste risultano scarne e gravi. Lo si fa solo in occasioni tragiche. Siamo una tribù di coriacei, le robe da froci non ci appartengono, eppure siamo mille volte più froci, fragili, vulnerabili e sanguinanti di quelli che sanno ammettere le proprie debolezze e i propri amori. Preferisco un morso ad un bacio. Preferisco un abbraccio al limite della frattura di costole, ad un ti amo. È sbagliato. Non deve essere così, non ne vado orgogliosa. Traggo la gente in inganno. Pensano che io non abbia bisogno di protezione, affetto e cura. Respingo l’affetto e poi ne ho un bisogno atroce. Ci vorrebbe un Nobel in strizzatura cerebrale per sciogliere i miei nodi. O forse mi sembra solo di essere complicata. Probabilmente sono semplicemente una ragazzina mediocre con dei traumi mediocri e con limitate risorse emotive per guarirli.
La mia tribù mi manca da strapparmi la carne e non sono capace di dirlo. Sono solo capace di dire “ma perché non ti anneghi nel cesso, perdio?”Morirò senza aver detto quanto ho amato. E ho questa paura enorme di essere l’ultima a morire. La sento come una maledizione. Gesoo mi punirà per le mie spine e mi costringerà a perdere tutti, prima di chiamarmi a sé.
Il sale della vita, eh?
mercoledì 11 maggio 2022
sta su, bella fiera!
E' passato un anno dal mio ultimo triste viaggio a casa.
Ho ancora in mente il momento in cui siamo salite da mia nonna per dirle che la sua bambina è morta.
Triste, ma anche molto bello. La condivisione del dolore riempie di forza, di senso di responsabilità: sapevo che non potevo crollare, sapevo che dovevo farle ridere, sapevo che anche solo la mia presenza era sufficiente per tenere insieme i pezzi.
Mi manca un sacco la sensazione di interezza che avverto quando sono a casa.
Sono andata via 20 anni fa e tutt'ora quella è la mia casa e tutt'ora penso che quello sia il mio posto e tutt'ora soffro per la lontananza, ogni giorno.
Nessuno dei miei sogni si è realizzato.
Nemmeno quello di trovare un meccanismo per riuscire a vivere un po' qua e un po' là, senza dover per forza rinunciare a una parte della mia esistenza.
Ora sono completamente bloccata.
Ora un estraneo può decidere se andrò o meno a casa, quando lo farò e per quanto tempo.
E' orribile.
Mi addormento tutte le sere, avvolgendomi attorno alla mia pancia e immaginandomi a casa. In una casa dove mi vogliono bene, dove mi aspettano, dove vado bene così come sono, dove non mi sento fuori luogo.
Chissà se riuscirò a reggere senza impazzire?
martedì 22 giugno 2021
paure da far volare via
Il giorno più lungo dell’anno.
Lungo eterno.
Martedì è il giorno più insopportabile della settimana.
Ogni martedì è un cazzo di solstizio, non finisce mai. Si ha
davanti ancora tutta una settimana di porchidii, di ufficio grigio, di gente
ipocrita, di produrre-lavorare-subire.
C’è una luce fantastica adesso, hai visto? Quella che inonda
d’oro alberi, case e macchine. Mi mandi una foto di quello che vedi? Io sono a
Palazzina, mi hanno anche tagliato la palma da sotto il poggiolo.
Paure da far volare via.
Se facessi volare via le paure, non rimarrebbe nulla di me. Volerei
in un inceneritore. Evaporerei insieme alle mie paure, perché è della loro
sostanza che sono fatta, altro che stelle, sogni o sa il cazzo quale altra
trovata pubblicitaria. Io sono fatta di paure.
Paura dei volatili
Paura di perdere le persone
Paura di deludere le persone
Paura di non essere all’altezza
Paura di sprecare il tempo
Paura di non essere utile a nessuno
Paura di infastidire
Paura di immettermi in autostrada
Paura di dire quello che penso davvero
Paura di fare quello che vorrei fare davvero
A forza di aver paura, ho smesso di volere.
Mi sono svuotata di sogni e speranze.
Perdo il contatto, sento le voci distanti, non sento.
Sono nel mezzo del cammino, che però più che un cammino è un
girare in cerchio, senza mai riuscire a spezzarlo. Paura di spezzare il
cerchio. Un disagio che diventa confortevole.
Vorrei prendere tutte queste paure, incenerirle insieme a
lei, mettermi il mucchietto sul palmo della mano e soffiare forte. Far volare
via tutto. Smettere di aver paura. Liberarmi dai demoni, assorbire questa
torbida luce infinita.
L’unico posto in cui non ho paura è questo mio piccolo
cubicolo sgangherato. Il mio cerchio magico protetto. The magic circle. Fino a
qualche anno fa era il mio letto a casa. Ora non c’è più il letto e la casa è
diventata un fantasma. Svuotata, screpolata, impregnata di odore d’urina
stantia. Il mio spazio sicuro è scomparso. Ora è qui. In questa squallida
periferia cementificata, in mezzo a sconosciuti, riconosco solo l’abbraccio del
mio appartamento. È così difficile comprendere questo bisogno di casa? Si vede
di sì. Il desiderio di mantenere le proprie posizioni è sicuramente più
importante del bisogno di creare un luogo sicuro per un’altra persona. È giusto
così. È più sano così. Prima di tutto i propri bisogni.
Stupida
Stupida
Stupida
Prima i tuoi bisogni e poi il resto…
È così che deve essere, perché io non ci riesco?
"Per quanto con l'abitudine avesse imparato a memoria i contorni della casa ormai da tempo, la rassicurava comunque sentire il pavimento sotto i piedi mentre si muoveva da una stanza all'altra, sapere che la casa era una realtà precisa, con tante sfaccettature, anche se lei vedeva tutto come se fosse sott'acqua a occhi aperti. Quando si era accora di avere la vista offuscata era stato quello il suo primo pensiero, di avere un eccesso d'acqua negli occhi: lacrime, forse. Erano cose che succedevano ai vecchi. Il giorno dopo, al suo risveglio, era ancora lì: una membrana acquosa. Impaurita, si era rifiutata di accettarlo. Aveva pregato e aspettato, finché una mattina si era svegliata e le cose avevano perso i loto contorni. Era annegata. Ma-mee andò in cucina strascicando i piedi, un po' come se pattinasse: moquette, legno del corridoio, moquette ruvida del soggiorno, le piastrelle irregolari della cucina."
La linea del sangue
JW
mercoledì 31 agosto 2016
infinita fiducia nell'umanità.
mercoledì 1 giugno 2016
il primo giugno dell'anno bisesto
giovedì 5 maggio 2016
La Georgia è un altro mondo: la gente è più bella, il vino più rosso e le montagne più alte...
Knut Hamsun, insieme alla compagna, arrivò a San Pietroburgo dalla Finlandia e partì la stessa sera in treno per Mosca. Il suo soggiorno fu breve anche qui: il giorno successivo, lo scrittore partì in treno per l’itinerario Mosca – Voronezh – Rostov-na-Donu – Armavir – Pyatigorsk – Vladikavkaz. Giunto nella “città-fortezza russa che possiede il Caucaso”, lo scrittore si spostò a Tiflis su una carrozza con quattro cavalli, passando in viaggio tre notti.
Durante il viaggio, lo scrittore si concentra sui villaggi georgiani. “Ogni villaggio presenta un complesso di case fuse l’una con l’altra, erte una sopra l’altra, plasmate sul pendio”. Lo scrittore freme alla vista di rocce scoscese ed abissi senza fondo. Knut Hamsun descrisse il momento in cui, su uno dei tratti più pericolosi della strada, comparvero, di sotto terra, due pargoletti di 6 od 8 anni ed iniziarono a carolare e svoltolarsi. Con incomparabile impertinenza facevano capriole sull’orlo della strada, eseguendo una danza della morte. “Non mi restava altro che metter mano alla borsa e pagarli”.
Fonte: http://www.geomigrant.com/
Foto: Knut Hamsun
giovedì 31 marzo 2016
rose e rosari
In effetti traggo anche un po' in inganno.
Oggi, ad esempio, sul collo mi ciondola un medaglione con una croce stilizzata in smalto. E' un regalo. Un regalo molto importante per me, realizzato a mano dai ragazzi di strada di un centro di recupero in Georgia. Fatto da ragazzi che ho visto crescere, con cui sono cresciuta. Poteva anche essere una svastica, probabilmente me lo farei comunque ciondolare dal collo periodicamente.
A proposito di svastiche, ho da tempo sviluppato un pensiero parallelo rispetto alle croci. Nel senso che se a me la croce fa nausea nella sua simbologia, per quello che rappresenta, per i danni che ha causato, per lo schifo che fa, per la strumentalizzazione lunga secoli, per le crociate, l'inquisizione, l'umiliazione, gli indios, l'Africa che viene indottrinata per non usare preservativi e morire di aids, per la pedofilia, il riciclaggio di denaro, per costrizioni ortodosse, per aver sventrato, rovesciato, rincoglionito i vangeli, per non praticare quello che predicano, per tutto questo e molto altro, per me la croce è uguale alla svastica... perché se la svastica nella sua simbologia induista/buddhista è un simbolo positivo, smerdato poi dal nazismo, anche la croce è un simbolo positivo di base, ma totalmente smerdato dalle varie correnti del cristianesimo.
Autoassoluzione quindi nel portare la croce nonostante il totale rinnego del cristianesimo: la croce è un bel simbolo, in fondo.
Avevo una compagna all'università che portava imperterrita una borsa (di quelle di stoffa da bancarelle che noi della facoltà di sociologia portavamo in massa, conformandoci all'anticonformismo) con stampe della svastica e non vedeva l'ora di essere canzonata per poter aprire un lungo dibattito sul vero significato del simbolo. La stessa cosa varrebbe per la croce, se non fosse che è molto più socialmente accettata e generalmente non provoca una reazione aggressiva e di conseguenza non si presta come terreno fertile per dibattiti. Uno che indossa una croce, quindi, è automaticamente considerato cristiano praticante e stop, a ognuno le proprie considerazioni personali. Il cristianesimo, nonostante secoli di schifo, è riuscito a farsi accettare dai più, come una condizione tradizionalmente normale. Non condivisa da tutti, ma da tutti rispettata.
Tutto questo per dire che:
Stamattina, nel mio piccolo regno odorante di rose portate dal nostro pittoresco armeno libanese, è capitato un montatore che doveva andare nella nostra officina a smontare qualcosa. Prima che arrivasse il capo officina è passato del tempo e il personaggio mi è rimasto a pindolare davanti al bancone mentre io mi facevo allegramente i miei noiosissimi cazzi. Ad un certo punto, il capo officina è arrivato e si è portato via il montatore, il quale montatore, prima di andarsene, ha detto un "complimenti, per tutto". Io, nella mia vanità di ragazzina, abituata a stare in mezzo alla carestia da figa, ho sorriso con tutti i miei grossi e ormai ingialliti dentoni, pensando che quel "per tutto" fosse rivolto al fatto che la mia attività assomiglia a quella della dea Kali della moderna zona industriale, con un telefono per orecchio, una penna in bocca ed un'elica nel culo.
Smontato lo smontabile, il montatore ritorna per consegnare il badge. Nel gesto di consegna del suddetto badge, mi infila in mano qualcosa che ho visto essere azzurro e subito ho pensato a delle caramelle e invece.
Invece era un rosario azzurro di plastica.
E sсomparve il montatore lasciandomi nel più totale degli sgomenti.
Ecco, sono tutt'ora scossa da tutto questo, ma ora si pone un altro problema: cosa me ne faccio? Voglio dire, nonostante la mia totale assenza di religiosità, un minimo di retaggio ce l'ho ancora e buttare via simboli più o meno sacri mi sembra quanto meno irrispettoso. Cosa faccio? Già sto perseguendo una politica di minimizzazione oggettuale in previsione dell'imminente trasloco. Ok, un rosario non occupa molto spazio, però, un rosario più una cartolina più un peluche più un cd vecchio alla fine fanno volume. Al di là di questo, fosse almeno un oggetto esteticamente bello forse lo terrei, ma è terribile, probabilmente prodotto in Сina da lavoratori sfruttati che hanno maledetto quel Gesù di plastica azzurra. D'altra parte, "dimenticarlo" in treno, ad esempio, mi sembra controproducente perché è un po' come fare del proselitismo non invasivo. Vabbé che uno se non è credente, non è che trova un rosario in treno e inizia istericamente a pregare a cazzo, se invece uno credente lo è già, sicuramente ha in casa svariati rosarietti, magari anche quelli di legno di rosa (che a me piacevano un sacco, li aveva mia madre) o di variopinti cristalli super kitsch. L'ultima volta che sono stata a Roma era un carnevale di rosari, che devo dire, messi tutti insieme e perso ogni significato religioso, sono piacevoli allo sguardo (almeno al mio, che a detta del mio ragazzo, sono come gli indios che impazzivano alla vista di vetri colorati).
ok, mi è diventato un flusso di coscienza questo shock religioso.
vado a produrre.
martedì 15 marzo 2016
Le 7 regole del convivio in Georgia
Il convivio georgiano è un rituale mistico, nato nell'amore. La parola chiave qua è proprio “l’amore”. La natura trasuda amore, l'aria è impregnata d’amore, lo spazio è carico d’amore. Si percepisce l’amore in ogni brindisi pronunciato durante il convivio. Nel modo in cui il tamada Luarsab Togonidze muove delicatamente il bicchiere tra le mani prima di fare un sorso. Nel modo in cui guarda la moglie Nino, la quale gli ha regalato cinque figli.
Il tamada Luarsab Togonidze soppesa ogni parola. A proposito, il brindisi al tamada, fatto durante il convivio, si considera l’ultimo. Successivamente tutti se ne vanno o scelgono un nuovo tamada.
Luarsab è un montanaro barbuto e possente, sui due metri. Sua moglie Nino è una mora minuta. “Ho incontrato Nino nel 1997. Naturalmente durante un convivio al matrimonio di un amico in comune”.
A Tbilisi, Luarsab è un personaggio leggendario. E non solo grazie ai brindisi… in realtà non esiste la professione del “tamada”. Il convivio celebrativo viene condotto per vocazione o su richiesta degli organizzatori. Ovviamente a titolo gratuito. L’attività principale di Togonidze è confezionamento e commercio di costumi nazionali, con i modelli restaurati in base alle esposizioni dei musei e vecchie fotografie. Inoltre, Luarsab interpreta splendidamente le litanie ecclesiastiche ed è proprietario di diversi ristoranti. Ha quindi sufficiente conoscenza ed esperienza da condividere con il prossimo. Naturalmente, a tavola.
A detta di Luarsab, nell'atmosfera del convivio è presente una magia invisibile, creata dal buon vino e dalla buona compagnia, che permette all'uomo di aprire il cuore. Tra le persone riunite deve regnare amore e amicizia, altrimenti la festa è impossibile, per quanto possa essere bravo il tamada. Perciò, ogni brindisi termina con un generale esclamazione “Gaumargios!” – augurio di vittoria a tutti i presenti. Intorno alla tavola georgiana tutti sono equi, come di fronte a Dio. È per Lui che si pronuncia il primo brindisi. Sempre.
All’Altissimo
All’eternità
La Georgia si è convertita al cristianesimo all’inizio del IV secolo. La Vergine Maria è considerata la Protettrice del paese.
Il tradizionale pane georgiano shoti si cuoce in forni tondi costruiti con mattoni ignifughi. Esiste una credenza, per cui il pane ama quando si canta mentre si impasta. Solo così viene croccante e fragrante.
L’uva raccolta viene lavorata nel marani – un locale apposito. Inizialmente i grappoli si pigiano con i piedi nel satsnakheli - una pressa scanalata in un tronco massiccio di legno di conifere. Questo è il metodo più delicato perché lascia intatti i semi d’uva, permettendo di escludere l’indesiderato sapore amaro nel vino. Il succo spremuto nella pressa viene versato nei qvevri - recipienti ovoidali sotterrati con capienza fino a 2000 litri, per fermentazione, invecchiamento e successiva conservazione. Il posizionamento del qvevri permette di raggiungere una temperatura stabile di 14° C: ottimale per la conservazione di prodotti alcolici. In tante famiglie georgiane, si fa tutt’ora il vino con questo metodo antico. Con l’uva di un raccolto, Iago produce circa 1200 bottiglie, le quali sono dirette in piccole enoteche europee, statunitensi ed anche giapponesi. A proposito, l’esportazione del vino georgiano in Europa è iniziata, a detta di Luarsab, nel XIX secolo circa.
Prendere il toro per le corna
È raro incontrare una così vasta varietà di artefatti per bere come in Georgia2. KULA — recipiente chiuso in legno con collo lungo e basso. Durante l’uso batte come un tamburello. Si pensa che gli uomini georgiani si caricassero prima delle battaglie grazie ai kula.
3. AKVANI — recipiente a forma di culla in ceramica, contiene circa mezzo litro. Con questo vaso si beve alla nascita di un bambino.
4. KARKARA — recipiente metallico sferico dal collo ricurvo consistente di tre tubi attorcigliati.
5. CINCILA — piccola brocca contenente circa un calice di vino.
6. KANTSI — corna di varie dimensioni, generalmente decorate con applicazioni in argento. Il più grande viene di solito fatto girare intorno alla tavolata.
7. TASI— coppa semisferica senza manici.
Agli ospiti
“In Georgia esiste una tradizione: durante il convivio si fa sempre una riserva per ospiti casuali: noi aspettiamo sempre amici nuovi! È vero, non tutti venivano da noi con il cuore aperto e buone intenzioni… ma questo non ha mai cambiato il nostro approccio agli sconosciuti.”
Dai georgiani si usa bere fino in fondo “Al Signore”, “Alla Patria”, “A chi non è più con noi”. Nel resto dei casi si può semplicemente fare un sorso e rimettere il calice sul tavolo.
Ogni ospite è una festa per i padroni di casa. Si affrettano a mettere in tavola il meglio che hanno. Dopo il lobio (fagioli in salsa di noci), sazivi (pollo in brodo di noci) e khachapuri (focaccia con formaggio) appaiono i kebab (roll di carne macinata con spezie ed erbe fresche) avvolti nei lavash (pane sottilissimo), carne cotta su carbone, gli scottanti khinkali (grossi ravioli con carne speziata ed erbe fresche), i fumanti dolma (involtini di carne macinata in foglie di vite). Si espone il vino. Tanto vino. E ogni vino dispone di un carattere individuale. I georgiani lo assaggiano ed attendono che faccia effetto. Dopo tre calici se ne può comprendere l’intensità.
Un amico russo di Luarsab, essendo in visita a Tbilisi, è entrato in casa di georgiani: gli avevano chiesto di riparare il televisore. Nel mentre, la moglie del padrone di casa ha iniziato ad apparecchiare la tavola. Presto hanno iniziato ad arrivare i vicini di casa che hanno saputo dell’ospite. Alla fine sono stati a tavola tutta la notte e il televisore non è nemmeno stato riparato.
“Abbiamo una credenza straordinaria: il tempo che si passa comunicando con gli ospiti, non viene calcolato nel conto della vita. In questo modo, ogni ospite è prezioso, perché senza saperlo ci prolunga la vita! Gaumargios!”