Nel
settembre del 1899 il grande scrittore norvegese Knut Hamsun viaggiò
per la prima volta nei suoi 40 anni. Si diresse nel Caucaso,
attraverso la Russia. È possibile che questo fosse il suo
viaggio di nozze, in quanto lo scrittore portò con sé anche la
giovane moglie Bergljot Bech. Il risultato del viaggio fu il
libro pubblicato nel 1903 “Viaggio nel Caucaso”.
Knut Hamsun, insieme alla compagna, arrivò a San Pietroburgo dalla Finlandia e partì la stessa sera in treno per Mosca. Il suo soggiorno fu breve anche qui: il giorno successivo, lo scrittore partì in treno per l’itinerario Mosca – Voronezh – Rostov-na-Donu – Armavir – Pyatigorsk – Vladikavkaz. Giunto nella “città-fortezza russa che possiede il Caucaso”, lo scrittore si spostò a Tiflis su una carrozza con quattro cavalli, passando in viaggio tre notti.
Ecco
come descrive Knut Hamsun il suo incontro con il Monte Kazbeg:
“All’improvviso, dietro una curva stretta a destra, si apre la
valle e ci si para davanti, vicinissimo, il Kazbeg con i suoi ghiacci
scintillanti al sole. Ci colpisce con la sua potenza – alto,
terribile, silente. Siamo permeati da una sensazione irripetibile che
ci stringe lo stomaco: il Kazbeg, come un essere dell’altro mondo,
si innalza circondato da montagne che gli giurano fedeltà, e ci
guarda. Scendo sgraziatamente dalla carrozza, la aggiro e tenendomi
stretta ad essa, guardo il Kazbek. Mi gira la testa, mi sembra di
essere sollevato da terra, sopra la strada, e mi trovo faccia a
faccia con Dio”.
Quando
si trova nel villaggio di Kobi, incantato dalla natura circostante,
lo scrittore riflette su Dio e la Sua creazione. “Seduto a terra,
guardo il cielo, e siccome io, a differenza di molti, non ho ancora
chiarito il mio rapporto con Dio, mi immergo per un po’ nelle
riflessioni su Dio e la Sua creazione. Questo mondo magico ed
incatenvole, questo antico luogo di esilio dove sono capitato, si è
rivelato il posto più sorprendente al mondo”.
Per
tutto il viaggio, Knut Hamsun non smette di stupirsi della natura e
si pone domande retoriche come: chi sta meglio? Gli europei, gli
yankee od
i caucasici?
“La
luna illumina già parecchio, anche se sono solo le cinque del
pomeriggio, il sole e la luna brillano contemporaneamente dai cieli
ed è abbastanza caldo. Questo mondo non somiglia a nessuno tra
quelli visti
prima e torno a pensare che potrei vivere qua tutta la vita. Siamo
già scesi così tanto a valle che sono ricominciati i vigneti, nel
bosco cresce il noce, il sole e la luna brillano contemporaneamente,
sfidandosi a vicenda. La magnificenza della natura domina l’uomo;
anche quelli che vivono qua ed osservano da
sempre
questo splendore, non smettono mai di stupirsene… un caucasico non
conosce fallimenti ed ascensioni del tasso di cambio della borsa di
New York, la sua vita non assomiglia alle corse dell’ippodromo,
esso vive senza fretta, si nutre dei frutti della natura o della
carne di montone. È concepibile sostenere che gli europei o gli
yankee siano
superiori ai
caucasici? Dio solo lo sa: è talmente discutibile che nessuno,
tranne Dio, può rispondere a questa domanda.”
Durante il viaggio, lo scrittore si concentra sui villaggi georgiani. “Ogni villaggio presenta un complesso di case fuse l’una con l’altra, erte una sopra l’altra, plasmate sul pendio”. Lo scrittore freme alla vista di rocce scoscese ed abissi senza fondo. Knut Hamsun descrisse il momento in cui, su uno dei tratti più pericolosi della strada, comparvero, di sotto terra, due pargoletti di 6 od 8 anni ed iniziarono a carolare e svoltolarsi. Con incomparabile impertinenza facevano capriole sull’orlo della strada, eseguendo una danza della morte. “Non mi restava altro che metter mano alla borsa e pagarli”.
“Ci
stiamo avvicinando a Tiflis. La strada costeggia il Kura. Il Kura è
maestoso e sublime… in lontananza compare Tiflis: è un insieme di
puntini alla rinfusa, un mondo a sé. Sopra la città pende la
caligine. Eccolo, Tiflis, la città di cui scrissero molti poeti
russi, la città presente in molti romanzi russi. Mi sento
improvvisamente giovane, mi guardo intorno con stupore e sento quanto
è forte il battito del mio cuore. Provai qualcosa di simile la prima
volta che attendevo la lezione di Georg Brandes. Teneva una lezione
all’università di Copenaghen. Aspettammo per un tempo infinito per
strada, sotto la pioggia, affollandoci intorno al portone chiuso…
ma ecco aprirsi le porte e corriamo su per le scale, per il
corridoio, in aula dove mi trovo un posto. Aspettiamo ancora a lungo,
l’aula si riempie, brulicando di mille voci. All’improvviso
l’atmosfera si placa, lasciando spazio al regno di un silenzio di
tomba. Sentì i battiti del mio cuore. Finalmente Lui salì sulla
cattedra...”
Ecco
quanto riferiva di Tiflis ai suoi lettori norvegesi:
“La
città conta cento sessantamila abitanti, di cui gli uomini sono il
doppio delle donne. Qui si parlano settanta lingue… Tiflis subì il
dominio di romani, persiani e turchi, ora è sotto i russi. La
prosperità degli ultimi anni è dovuta alla conveniente posizione
geografica: la città sorge sull’incrocio di vie commerciali che
attraversano le montagne e collegano il mar Caspio con il Mar Nero,
la Russia e l’Armenia. Nella città vi è un eccellente museo,
teatro, raccolta di pittura, giardino botanico, fortezza… mentre
sopra la città si erge il monastero di San Davit. Situato su un
monte sacro per i georgiani – il Mtatsminda. Il monastero ospita la
tomba di Griboedov”.
Knut
Hamsun: “La città non si è rivelata molto interessante. Tornammo
però in uno dei cantucci più e più volte ammirandolo infinitamente
– era il quartiere asiatico. A Tiflis, c’erano negozi con vetrine
a grandi specchi, tram a cavalli, teatri-varietà, dame e signori
vestiti all’europea, ma nel quartiere asiatico tutto era
differente: anche le strade qui non sono strade ma vicoli, passaggi
incapestrati, scalette che portano da una casa all’altra, in su e
in giù.
Nelle
botteghe commerciano rappresentanti di ogni specie e popolo e
vendevano oggetti più sorprendenti… Circondati da asini, cavalli e
cani, gli artigiani lavorano per strada, i fabbri arroventano il
ferro in piccoli fornelli battendolo su piccole incudini. Orefici e
argentieri levigano, niellano, cesellano e incidono i loro manufatti,
li decorano con turchesi ed altre pietre. I sarti confezionano lunghe
palandre di feltro su macchine da cucire importate dall’Occidente…
Nelle botteghe si vendono principalmente tessuti di seta, ricami,
tappeti, armi e gioielli… qua e là, nelle minuscole botteghe,
siedono scrivani trascrivendo su richiesta…
Scorre
silenziosamente la vita del quartiere asiatico, lontana dal resto del
mondo. Qui regna il silenzio, mentre tutto intorno si sente il
chiasso della città mercantile, come se là fuori ci fosse
l’America. È raro sentire qua una parola detta ad alta voce,
raramente si sente un urlo inutile. Solo voci basse, discreti cenni
con i turbanti e null’altro. Nel quartiere asiatico quasi non ci
sono donne, è molto raro vedere due donne conversare con i bambini
in braccio, e anche loro parlano a voce molto bassa. Gli armeni
costituiscono un’eccezione nelle loro botteghe: loro lodano ad alta
voce le loro armi e mentono apertamente ai compratori sia qua che in
qualsiasi altro posto. Un ebreo può imbrogliare dieci greci, ma un
armeno ingannerà dieci greci e dieci ebrei...”
Da
Tiflis, Knut Hamsun si diresse a Baku e successivamente pianificava
un viaggio in Oriente, in Persia. Una lettera di accredito francese
però, che lo scrittore teneva in tasca, cambiò drasticamente i
piani del viaggiatore. Presso le banche di Baku non emisero denaro
dietro tale documento, dicendo di non aver mai visto prima di allora
delle carte simili. Hamsun si vide costretto a tornare a Tiflis, dove
le banche lavoravano con lettere di accredito francesi. Prelevato il
denaro a Tiflis, decise però di partire per Batumi, sul Mar Nero,
invece di andare in Persia.
Ecco,
come vide lo scrittore la città portuale:
"Batum
conta quaranta mila abitanti, forse pochi più. Alla vista ricorda in
parte sia Tiflis che Baku – grandi edifici moderni di pietra si
alternano a piccole e buffe costruzioni di pietra, rimaste dai tempi
dei turchi. Le strade sono larghe, ma non lastricate, qua si cammina
e si viaggia direttamente sulla sabbia. Al porto si trovano infinite
navi, dai piccoli velieri, arrivati fin qui dalle città del sud o
addirittura dalla Turchia, fino alle grandi navi da passeggeri
europee provenienti da Alessandria o Marsiglia…
La
vita di Batum è in qualche modo simile alla vita degli stati a sud
degli Stati Uniti. Il ristorante, gli alberghi sono frequentati da un
pubblico vestito all’europea, in seta e diamanti. Ordinano piatti
raffinati e bevono champagne… Le maniere da americani degli stati
del sud si manifestano particolarmente al momento del saldo. Amano
pagare con le più grosse banconote, che sia necessario o meno,
costringendo i camerieri di chiedere il resto al proprietario.
Lasciano mance consistenti. E lasciano il vino in calici e
rosoliere...
A
Batum vi è anche un lungomare alberato. La sera è pieno di carrozze
e persone a passeggio. Si trovano qua cavalli pieni d’ardenza,
fruscio della seta, e ombrelli, e sorrisi, e saluti: tutto uguale ad
una qualsiasi città degli Stati del sud. Si trovano anche qua
bellimbusti, damerini con alti colletti simili a polsini, camicie di
seta ricamate, cappelli sulle ventitre e bastoni grossi come il
braccio… non è l’alterigia a farli vestire così, semplicemente
anche loro desiderano farsi notare e sceglono questo metodo puramente
estetico, il quale aiuta a raggiungere in fretta lo scopo e non
richiede grandi sforzi. Il cappello può rendere famoso un uomo molto
più in fretta di quanto non lo faccia un libro od un quadro. È
quello che fanno i francesi, e perché non dovrebbero?”
L’autore
termina così i suoi appunti di viaggio “La Terra Favolosa” :
“Domani partiamo di nuovo per Baku, da lì proseguiamo per
l’Oriente. Tra poco ci separeremo da questo regno, ma sarò sempre
attratto da questo posto, perché ho bevuto l’acqua del Kura”. In
realtà Knut Hamson non tornò a Baku, non andò mai in Oriente.
Attraversò il Mar Nero su un battello, superò lo stretto del
Bosforo e giunse a Costantinopoli.
In
capo ad un anno dopo il viaggio nel Caucaso, Knut Hamsun, scriverà
in una lettera indirizzata alla poetessa norvegese Dagni Kristensen:
“...Non rivivrò mai più una favola di cotanta meraviglia e
superbia, specialmente fiabesco è stato il viaggio da Vladikavkaz a
Tiflis attraverso le montagne… E’ un mondo diverso, la gente è
più bella, il vino più rosso e le montagne più alte. E credo che
Dio alberghi sul Kazbeg tutto l’anno...”
Nella
lettera all’amico ed editore Albert Langen, scriveva:
“...Attualmente, il libro che più mi rende felice è “Il Libro
del Caucaso”, che sarà il migliore tra tutto quello che ho fin’ora
scritto”. Il romanzo migliore dello scrittore diventerà però “I
Frutti della Terra”, pubblicato nel 1917 e premiato con il Nobel
nel 1920.
Il
libro “La Terra Favolosa” fu pubblicato nel 1903, nello stesso
anno, Knut Hamsun pubblicò il dramma amoroso “La Regina Tamara”,
scritto sotto l’impressione del viaggio in Georgia. L’opera fu
rappresentata nel 1904 al Teatro Nazionale di Oslo, anche se non
riscosse particolare successo, nonostante la musica per la
rappresentazione fosse stata composta dal famoso compositore
norvegese Johan Halvorsen.
Cento
anni dopo il viaggio di Knut Hamsun in Russia e nel Caucaso, due
giornalisti
norvegesi,
Bjørn
Rudborg
ed
Ule Peter Ferland, hanno
ripercorso le tracce dello scrittore provando a ritrovare “questo
fiabesco regno”. E lo hanno scoperto, narrandone nei loro appunti
di viaggio
"Nella
Terra Favolosa
– Cent’anni
Dopo”.
“Non abbiamo bevuto l’acqua del Terek, Aragvi o Kura, - scrivono
Bjørn
Rudborg
ed
Ule Peter Ferland – ma saremo sempre determinati a tornare qua. Il
Caucaso è una fiaba, è inimitabile e brutale!"
Fonte: http://www.geomigrant.com/
Foto: Knut Hamsun
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