Mia Donna cara, vorrei proprio scriverti una lettera, un giorno, una
lettera totale, una lettera vera e totale, ci penso, e penso come essa
sarebbe se te la scrivessi: sarebbe scritta con parole semplici e
ricorrenti, diventate usate da quante persone le hanno dette e quasi
ingenue, seppure frementi della passione di un tempo.
E attraversando gli oscuri strati di lava e di argilla che la vita ha
sedimentato su tutto, essa ti direbbe che io sono ancora io, e che
mantengo sogni, solo che mi sveglio all’ alba e che a volte la mano
trema a reggere la penna e il pennello. E che anche la casa è la stessa:
il vecchio legno ha lo stesso odore e lascia che lo roda il tarlo,
dalla finestra della veranda entra d’ estate un fascio di luce che le
foglie della vite rampicante sull’inferriata disegnano sulla parete di
fronte come ombre cinesi, e allora è bello stendersi sulla poltrona di
vimini, mentre fuori, nella campagna dintorno, è la calma meridiana e le
cicale non tacciono un istante, e sono senza dubbio le stesse cicale,
cioè differenti e uguali a quelle di sempre. E che a fine febbraio la
magnolia giapponese fiorisce ancora prima di mettere le foglie e pare
uno strano vaso di fiori candito nell’ aria, come eterno. E con lei, più
lontano nel giardino, si accompagna la mimosa che amavi tanto.
E anche i bambini crescono, esattamente come allora. Caterina segue
ancora la dieta, anche se con una certa riluttanza, ma era davvero
troppo rotondetta, però alla sua età ha già il senso della propria
dignità, come allora è già civettuola, e da grande sarà una donna
affascinante. Nino, al contrario, è magro magro e a scuola va maluccio,
ma è perché non si applica, perché la sua intelligenza fa già prevedere
quello che è diventato. E poi ti direi che le serate sono lunghe,
lunghissime, quasi infinite, e languide, ma che il mio cuore reagisce
come una volta, e a volte a una musica, a un suono, a una voce che passa
per strada comincia a battere all’impazzata, sembra un cavallo al
galoppo.
Però, se la notte mi sveglia, come sempre, per far calmare quei
battiti mi alzo e vado in sala da pranzo, accendo una candela gialla,
perché il giallo è bello nella penombra, e leggo Dolce e chiara è la notte e senza vento,
e quelle parole mi tranquillizzano, anche se il vento là fuori agita i
rami degli alberi e allora mi dico: lungi dal proprio ramo povera foglia
frale, dove vai tu?
Me lo chiedo e cerco di riaddormentarmi e se non ci riesco riattizzo
le braci del caminetto affinché luccichino ancora un poco, e per
addormentarmi penso che ti scriverei che non sapevo che il tempo non aspetta, davvero non lo sapevo,
non si pensa mai che il tempo è fatto di gocce, e basta una goccia in
più perché il liquido si sparga per terra e si allarghi a macchia e si
perda. E ti direi che amo, che amo ancora, anche se i sensi sembrano
stanchi, perché lo sono, e quel tempo che era così rapido e impaziente,
ora è lunghissimo da passare in certe ore del pomeriggio, soprattutto
sul fare dell’ inverno, quando se ne va l’ equinozio e la sera cala a
tradimento e le luci che non aspettavi si accendono nel villaggio.
E ti direi anche che ho preparato le parole per la mia lapide, sono
poche, perché fra la data di nascita e quella che sarà della mia morte
tutti i giorni sono miei, e ho avuto l’ accortezza di lasciarle all’
omino che si occupa di questi caritatevoli servizi, per mestiere o per
vocazione. E poi ti direi di quella volta che ti vidi, mentre tu mi
mostravi il paesaggio, e che la tua figurina stagliata contro l’
orizzonte mi parve la cosa più bella che il mondo avesse concepito, e io
ebbi voglia di interrompere la tua sapiente descrizione abbracciandoti
con il calore dei sensi che allora erano infiammati. E poi ti direi di
certe notti in cui parlavamo, di quella casa sul mare, di certi momenti a
Roma, dell’ Aniene, e di altri fiumi che abbiamo guardato insieme
pensando che essi scorressero soli, senza accorgerci che noi scorrevamo
con loro. E ti direi anche che ti aspetto,
anche se non si aspetta chi non può tornare, perché per tornare ad
essere ciò che fu dovrebbe essere ciò che fu, e questo è impossibile.
Ma ti direi: guarda, quello che c’ è stato in tutto questo frattempo,
che sembra così impossibile da perforare come quando la trivella
incontra uno strato di granito, ebbene tutto questo è niente, non sarà
affatto un ostacolo impossibile da superare quando leggerai la lettera
che un giorno ti scriverò, vedrai, una lettera a cui ho sempre pensato,
che mi ha accompagnato per tutto questo tempo, una lettera che ti devo e
che scriverò davvero, puoi starne certa, te lo prometto.
Antonio Tabucchi