Ho una relazione senza viscere. Una relazione sviscerata. Il
ciclo è sempre lo stesso da più di 10 anni a questa parte, fa quasi paura a
pensarci. Funziona più o meno così:
Mi conosci e rimani totalmente abbagliato,
dalla mia bellezza nascosta, non volgare e decisamente fanciullesca. Rimani abbagliato
dalla mia vita pittoresca, i viaggi, le esperienze, il coraggio. Rimani abbagliato
dai miei gusti in letteratura, arte, musica, cinema, presa di posizione apolitica
e ragionata, spiritualità pagana ed esoterismo spinto. Ti innamori. Pensi di
non voler altro, di aver trovato la ragazza complicata, ma bella, ma giusta, ma
divertente, ma fine, ma alla mano, comprensiva, non troppo sdolcinata, ma
sensibile, ma educata, ma non troppo borghese. La scopi a sangue. Ti fai un bel
periodo di nuvolette quando immagini i tuoi figli con in faccia i suoi occhi e
tutti gli ostacoli sociali legati alla sua provenienza, eccentricità, carattere
del cazzo, sembrano ampiamente superabili. Poi io mi rilasso. Tiro fuori le mie
orrende nudità, paure, paranoie, tristezze, nodi non ancora sciolti, ti
sotterro di pretese, di cose che non vanno bene, non ti faccio sentire
apprezzato, mi blocco, voglio cose che non puoi darmi, ti svalango addosso
tutto il peso delle mie aspettative. Ti metto in mano il mio cuore e ti dico “ok
ora è tuo, per favore fammi felice”. A quel punto ti scendono i coglioni. Sfiorano
l’asfalto e cominci a vedere i miei mille difetti. La misantropia, l’associalità,
la tendenza all’inganno, l’ambiguità, l’instabilità mentale e emotiva, tendenze
depressive, psicopatia, il mio attaccarmi ad ogni virgola per farne un dramma. Nel
mentre io sono fottuta, perché penso che tu sia in grado di aiutarmi. Che proprio
tu sei nato per aprirmi, rilassarmi, darmi una certezza, un rifugio, una
promessa. Ti senti la responsabilità sulle spalle e i coglioni cominciano a
sanguinare. Ti allontani. Troppo peso. Scatta il meccanismo di sopravvivenza
psicologica. Non vuoi addossarti 43 chili di complicazioni. Non ce la fai. Hai ancora
un barlume del bene che mi volevi, ma proprio non riesci. Ti appesantisce la
mia esistenza nella tua. Alla fine io mando affanculo tutto, oppure mi faccio
aiutare da te. Un meccanismo ormai comprovato. E lui poi mi dice “sei talmente
innamorata della tua tesi per cui tutti te lo devono mettere nel culo che ormai
non riesci a credere ad altro”. Eh grazie al cazzo! Dimmi se non è vero! Non che
qualcuno me lo voglia mettere nel culo (forse letteralmente anche sì), ma è che
nessuno ha voglia di restarmi vicino anche nei momenti più bui, aspettare che
il buio passi per tornare a brillare insieme. Nessuno riesce a superare la
prova del momento in cui decido di consegnarmi tutta, con tutta la mia
bruttezza, nelle mani di una persona. Forse la soluzione è restare in
superficie. Non consegnare niente a nessuno, rimanere brillante, divertente e
ninfomane. Ma è che io di una relazione così non me ne faccio un cazzo. Non sono
mica una cabarettista del cazzo. Ho bisogno di qualcuno che sia in grado di
rimanermi accanto anche e soprattutto quando sono insopportabile, quando
costruisco muraglie di ghiaccio, mi chiudo, sputo sentenze, avveleno l’aria
intorno a me. Ho bisogno di qualcuno che abbia la forza di rimanere, di
abbracciarmi anche contro la mia volontà. Di prendermi a schiaffi e dirmi “sono
qua, sono con te e voglio restare con te, anche se sei una merda e non sei
quello che sembravi e invece ti voglio esattamente così.”
Ma a quanto pare è impossibile. Non sto facendo di tutta l’erba
un fascio, per l’amor del cazzo! È che io sono attratta da persone senza
coglioni si vede. O da persone che non riescono ad innamorarsi al punto di
superare questo primo scoglio. Al primo scoglio scatta il sacrificio dei
cuoricini e sogni e risate. Arriva il buio, il lamento, il muro, la tensione,
la mia paura di aver sbagliato di nuovo. Ormai potrei inaugurare un cimitero di
un certo spessore con su tutte le croci e le facce che ho amato, che mi hanno
amata, hanno creduto di amarmi, hanno provato ad amarmi, ma non ci sono
riuscite.
Amen.
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