Sono passati più di tre anni da quando abbiamo deciso di
avere un figlio.
Ok, “abbiamo” è forse esagerato. Io ho deciso e lui ha
acconsentito senza alcun entusiasmo e con una grande (quanto appagata) speranza
di non avere successo in questa impresa.
Tre anni di calcoli, tre anni di speranza, tre anni di sogni
di una bambina dagli occhi grandi della madre, appetito del padre e
buffonaggine di entrambi. Ho sognato il suo odore, ho sognato il suo primo
sorriso, ho sognato i suoi piedini, ho sognato la domenica mattina con lei nel
letto: io, lui e lei. La nostra piccola famiglia piena di porchidii e luce. Ho sognato
lui che rientrava a casa e noi che gli correvamo incontro per fargli vedere che
bei disegni che avevamo fatto. Ho sognato anche, addirittura, la prima volta
che le avrebbero spezzato il cuore e come saremmo stati bravi io e lui a farle
sentire la forza del nostro amore e come l’avremmo tirata su a suon di risate. Ho
sognato poi i suoi due fratellini gemelli e di nuovo noi tutti nel letto, con
lui che muggisce e vuole dormire e noi che ci arrampichiamo sulle sue
cicciosità per indispettirlo e lui che brontola, ma sotto-sotto sorride e gli
si riempie il cuore per avere intorno tutti questi piccoli cagacazzi capeggiati
dalla sua vecchia rana.
Ho fatto un sacco di sogni.
Mi sono addormentata per centinaia di notti con il sorriso e
le lacrime.
Ma questa bambina non è mai arrivata.
E noi siamo riusciti ad andare affanculo. Non perché lei non
sia arrivata, ma comunque il mio grande sogno è andato affanculo. Strisciando,
lentamente, disintegrandosi di giorno in giorno.
Dopo tre anni, sento di nuovo arrivare il ciclo. Puntuale come
la maledetta morte. Solo che, questa volta, non sono arrabbiata, frustrata,
delusa, distrutta, spezzata, frantumata e polverizzata dalla consapevolezza
che, anche questa volta non ce l’abbiamo fatta. Dopo tre anni, sento un’amara
sensazione di liberazione dall’aspettativa che mi opprimeva. Per la prima
volta, non potevo avere dubbi. Per la prima volta, dopo più di mille notti,
ritorno ad avere una connessione con il mio ciclo. Ritorno ad accettare il mio
corpo, anche se si è rivelato un terreno arido. Ritorno a me stessa.
È una strana sensazione, quella di non avere più un sogno
che ti ammazza ogni mese, che ti lascia in una pozzanghera di lacrime
incomprese, lacrime che nessuno ha mai voluto asciugare, lacrime che nessuno ha
mai condiviso.
Sono tutte strane queste sensazioni in questo nuovo mondo,
che sembra non appartenermi e non avere niente a che fare con me. Non ho più un
mio mondo. Il mio mondo è finito. Dovrò ridisegnarlo da zero. Che palle!
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