La sensazione di impotenza uccide.
Avevo questa certezza.
Una certezza che da sempre viene ripetuta e consolidata
verbalmente nella narrazione dinastica.
Lei è forte. Lei è l’unica sana di mente. Lei è razionale. Lei
sa gestire qualsiasi situazione. Lei è della Bilancia, lei soppesa. Eppure lei,
la più forte emotivamente, quella che non perde un colpo e non prende mai nulla
troppo a cuore, proprio lei, banalmente, è la più devastata da questa perdita.
Nessuno di noi, con tutta la buona volontà, riuscirà a
colmare il vuoto. Nessuno riuscirà ad alleggerire il dolore della perdita di
una mamma così figa. Lei si fissa con delle cose sciocche. Ripete, ripete e
ripete la stessa cosa centinaia di volte. Si sveglia tremando e non sapendo
dove si trova, si sente in colpa con le figlie che non riesce a cagare, esplode
di rabbia e lacrime per un oggetto spostato. L’idea di comprare un biglietto
aereo, un gesto quasi quotidiano, per lei diventa un’azione inaffrontabile. Non
riesce a riconnettersi con la realtà, con la sua routine. E io non posso fare
niente. Posso chiamarla, raccontarle i cazzi miei, posso distrarla, farla
ridere, posso anche volare da lei, baciarle le mani e le palpebre, cullarla fino
a farla addormentare, ma non sarò mai la sua mamma. Continuo a pensare che, forse,
non bisogna costruire rapporti troppo profondi con nessuno. Bisogna costruirsi
una bolla di vetro, dove le cose non penetrano, dove i sentimenti non sono
troppo forti, dove la mamma non sa di che colore era lo stronzo che hai
prodotto oggi, non sa chi sono i tuoi colleghi, non sa se tuo marito sa farti
venire, non conosce ogni millimetro di sviluppo delle tue bambine, non sa cosa
hai mangiato oggi e non sceglie insieme a te il vestito da mettere alla
riunione di domani. Una mamma che non ti invade, irritandoti, con i suoi
infiniti consigli sulla sistemazione di mobili, il colore delle tende, le
scelte educative delle bambine, la macchina da comprare. Serve una mamma che
stia bene o che muoia ad un certo punto, senza però lasciarti paralizzata in un
mondo che perde il suo colore più vivace. Ira era così. Era presente ovunque,
in gesti quotidiani, nelle scelte grosse, nelle scelte piccole, nelle paranoie,
ipocondrie, litigi, risate. Risate. Ci ha regalato troppe risate per pensare di
togliercele così di botto. Ci ha regalato troppo del suo odore per scomparire
così improvvisamente.
Ho sempre odiato la guerra. La guerra, per me, era il
peggiore dei nemici. Quella che toglie le persone amate senza permesso, quella
che distrugge la casa, porta via i progetti vita. Ora, credo di odiare di più
il tumore. È stato più devastante della guerra, più meschino, più subdolo, più
figlio di puttana. Non esiste una giustizia universale, ok. Non esiste un dio
buono, il dio amore, il dio misericordioso. Non esiste nulla, che non sia un
fottutissimo caso che ti porta via grosse fette di vita, strappandole insieme
alla carne, al cuore, al poco spirito che hai.
Vinceremo il dolore prendendoci per mano? Sarà sufficiente? Abbiamo
vinto guerre, nostalgie, chemioterapie, separazioni, tradimenti, abbandoni,
bugie, ma vinceremo contro la morte della più figa delle persone?
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