è straziante come l'assenza di acqua calda mi faccia dimenticare tutti gli altri problemi miei e del mondo.
lunedì 14 novembre 2016
lunedì 7 novembre 2016
la tua presenza è come una città
"E pensare che
non era mai stato il tipo che imponeva significati nascosti alle cose, Viktor,
aspettava che gli parlassero, e se non lo facevano, tirava dritto, voleva dire
che non gli volevano dire niente."
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venerdì 4 novembre 2016
la nausea
Ho riletto “la
nausea” di sartre: signori miei, che strazio. Per finire bene poi ci ho letto
dietro “lo straniero” di camus e poi ho capito che basta, adesso manca solo
affilare una bella lama e introdurmela in mezzo ai polmoni con lenta decisione.
Al di là di
questo è inutile sviluppare il pensiero per cui mi sono riconosciuta sia in
nausea sia in straniero. Continuo a pensare che, quando qualche mese fa stavo
traslocando per l’ennesima volta, i miei libri sapessero già quale fosse l’ordine
giusto in cui si dovevano mettere in fila per capitarmi in mano esattamente nel
momento giusto. Così fu. Ogni libro sembro io, in versione intelligente, che mi
sbatto in faccia terribili e penose verità sulla mia esistenza. Sarà essere
egocentriche…
In questi
giorni sono stata vinta dalla nausea, di nuovo. Vado a vedere un appartamento
che potrebbe farmi da rifugio per il prossimo futuro e mi sento possedere dalla
nausea. All’idea di altri odori, altre prospettive, altri spazi, altre notti in
cui mi sveglierò senza capire dove sono, altri suoni, altri vicini, stessa
solitudine densa e prepotente… mi viene la nausea. Dentro. È una sensazione
terribile, sento un magone ruvido che comincia a salire dalla gola e perdo il
senso del tutto. Mi sento totalmente assente nei confronti degli oggetti, del presente, della mia vita, delle persone che mi vogliono bene. Così fuggo. Mi nascondo
dentro la mia macchinina gialla e fumo 15 sigarette all’ora per non pensare a
quanto sono inadeguata.
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martedì 25 ottobre 2016
il 28
“oh guarda è un 28”
“non capisco come fai ad essere così feroce e cinica su
tutto e poi ti sbrodoli per delle stronzate così”
…la storia del 28 è nata così:
Non mi era mai importato molto di essere nata il 28, anzi
consideravo il numero abbastanza insipido e inutile, non tondo e memorabile
come potrebbe esserlo un 10 o 1 o 5 o 7 o un 03/03 o un 08/08
L’illuminazione mi è crollata addosso qualche anno fa a
Lamporecchio, mentre stavamo facendo il check in al campeggio. Quando l’ho
visto scrivere la data di nascita ho avuto improvvisamente la sensazione che
ogni cosa avesse trovato il suo posto dentro di me. Ovvio, se fosse una persona
che mi era indifferente poteva anche nascere esattamente il mio stesso giorno e
alla stessa ora e comunque non me ne sarebbe fregato nulla, ma lui mi piaceva e
mi sbrodolavo per qualsiasi espressione del suo essere, inaffrontabili slip
bianchi compresi. Avevo solo 24 anni... sommandoli ad un’evidente immaturità
emotiva e ritardo mentale mi collocavo ad un’età cerebrale effettiva di circa
17 anni. Se poi ci aggiungiamo l’endorfina, l’innamoramento e lo squilibrio
ormonale che mi provocava la sua esistenza al mondo, potremmo anche in qualche
modo giustificare tutto quello che è venuto dopo. E cioè:
-
Ho fatto il conto delle date di nascita. La
mia somma era =28 (togliendo il 1900 iniziale), la sua anche. Poi mi sono
accorta che la sua era uguale a 27 ma la cosa non mi ha minimamente turbato,
perché ormai quel piccolo errore aritmetico mi aveva totalmente fuso il
cervello
-
Ho stilizzato nella mia mente il 28 e sono
giunta alla conclusione che l’8 è il simbolo dell’infinito che tende verso
l’alto, mentre il 2 siamo noi.
-
Io e mia madre abbiamo 28 anni di differenza
-
Il mio ciclo mestruale dura 28 giorni
-
Sono andata a fare una serie di approfondite
ricerche su wikipedia per scoprire che:
o
28
è un numero perfetto. È la somma dei primi cinque
numeri primi, infatti 2 + 3 + 5 + 7 + 11 = 28.
o
È un numero idoneo
o
Il più lungo anello
di numeri socievoli è composto da 28 elementi
o
È un numero felice
o
È un numero palindromo nel sistema
di numerazione posizionale a base 3 (1001).
o
È il quarto numero
magico in fisica nucleare
o
È il numero dei denti nella dentizione
mista.
o
È il numero delle falangi,
falangine e falangette delle dieci dita.
o
Con cadenza regolare di 28
anni, si verifica la ripetizione del calendario di un anno: i
giorni delle settimane sono infatti corrispondenti.
o
Nella teoria dei bioritmi
di Swoboda e Fliess, il ciclo Emotivo dura 28 giorni e influenza i sentimenti,
l'umore, l'intuizione e la creatività. I giorni critici del ciclo Emotivo sono
il 1º e il 14º: il primo giorno, la fase è in ascesa e perciò cresce più
l'irritabilità che lo stato depressivo. Il quattordicesimo giorno, invece, la
fase è in discesa verso sentimenti di incomprensione e di frustrazione. Nei due
giorni, c'è una certa sollecitazione bulimica della pulsione orale.
o
È il numero delle
consonanti dell'alfabeto arabo.
o
Il primo verso della Bibbia
è composto da 28 lettere ebraiche
o
La cupola del Pantheon è
composta da 5 ordini di 28 lacunari ciascuno
o
Nella Smorfia il
numero 28 sono i seni (cosa che ho affrontato con notevole dignità,
nonostante l’inadeguatezza del simbolo)
o
Nel film Donnie Darko l'universo sarebbe
collassato dopo 28 giorni
E tanto altro.
Dopo aver scoperto cosa fossero i numeri felici, idonei,
socievoli e i numeri magici della fisica nucleare mi sono concentrata più
sull’aspetto mistico, per quanto anche la matematica e la fisica spinta abbiano
del magico, ma mi risultava troppo complesso. Sono più da favolette popolari di
semplice comprensione. Quindi mi sono buttata sulla mistica per scoprire quello
che mi è parso di aver sempre saputo.
Le
interazioni composte dai numeri vanno al di là di un mero
calcolo quantitativo.
Infatti da un punto di vista spirituale l’uno rappresenta l’unico, cioè l’unicità della divinità; il due non proviene dal raddoppiamento dell’uno, ma dalla sua divisione. Il due divide e rompe l’armonia dell’uno, e il ritorno all’unità si ha con il tre, cioè con il percorso inverso. Fatto che spiega come il tre, il triangolo, la triade, siano espressioni dell’unità. In tutte le tradizioni antiche i Numeri sono sacri, proprio perché permettono di comprendere l’ordine delle cose e le leggi del cosmo.
28 = 2 + 8 = 10 = 1 + 0 = 1; il Numero ventotto è dunque l’espressione dell’unità primordiale. Ma è anche composto di 4 x 7, apparentato alle quattro fasi della luna.
Infatti da un punto di vista spirituale l’uno rappresenta l’unico, cioè l’unicità della divinità; il due non proviene dal raddoppiamento dell’uno, ma dalla sua divisione. Il due divide e rompe l’armonia dell’uno, e il ritorno all’unità si ha con il tre, cioè con il percorso inverso. Fatto che spiega come il tre, il triangolo, la triade, siano espressioni dell’unità. In tutte le tradizioni antiche i Numeri sono sacri, proprio perché permettono di comprendere l’ordine delle cose e le leggi del cosmo.
28 = 2 + 8 = 10 = 1 + 0 = 1; il Numero ventotto è dunque l’espressione dell’unità primordiale. Ma è anche composto di 4 x 7, apparentato alle quattro fasi della luna.
I
Numeri pari hanno una polarità femminile, quindi sono passivi e rappresentano degli
stati dell’essere, mentre i Numeri dispari, con polarità
maschile, sono attivi e rappresentano degli avvenimenti.
Il
Due, come diade, è l’espressione della dualità. In una visione dualistica del
mondo si ha la separazione del principio materiale dal principio spirituale, e il numero Due è l’incarnazione degli opposti:
maschile/femminile, giorno/notte, terra/cielo, ecc. Essendo un principio duale,
indica sia il contrasto, la polarità, sia il tentativo di conciliazione. Quindi il Due può essere considerato un numero ambivalente:
nella sua funzione positiva cerca di riconciliare gli opposti, per ritornare
all’unione ed è indice di saggezza, come ricerca attiva di una perduta armonia,
oppure ha un carattere negativo se porta alla rottura dell’unità con la netta
divisione dei contrari. Il numero Due, ci porta all’interno
di una differenziazione, non multipla, bensì fondata su un
conflitto binario che comporta un’esclusione e una spaccatura: vero o falso,
bianco o nero, ecc. La linea è la figura
geometrica raffigurante il due; infatti si ha un collegamento
con il simbolismo della croce nella coppia della verticale e dell’orizzontale:
la linea orizzontale indica lo sviluppo materiale, mentre quella verticale
l’elevazione spirituale.
Nell’Antichità il numero Due era attributo
della Grande Madre Terra.
Invece per l’8 abbiamo l’infinito (come giustamente intuito dalla
vostra umile serva). E l’infinito è indissolubilmente legato al Karma, alla
fecondità e alla prosperità. Il numero Otto, quindi, come
simbolo dell’infinito, del riflesso dello spirito nel
mondo creato, dell’incommensurabile e dell’indefinibile. Dal punto di vista
prettamente esoterico, il numero 8 simboleggia la
Giustizia rappresentata da una bilancia con due piatti e
trasposta nell’intelletto che si eleva oltre ciò che è terreno.
L’Otto
è anche il numero che simboleggia la morte, in termini di transizione e di
passaggio.
La
rappresentazione del numero Otto si palesa anche nell’archeologia sacra
dato che l’Otto viene universalmente considerato il numero
“difensore” dell’equilibrio cosmico. Nella cultura orientale, soprattutto
quella legata alla religione, troviamo templi costruiti su pianta a base
ottagonale, ovvero sulla figura che fa girare la ruota del centro stesso
dell’universo. Sin dai tempi antichi, il numero Otto è considerato sacro
nel paese del Sol Levante rappresentando una quantità immensa ma allo
stesso tempo non definibile. Lo stesso territorio nipponico
veniva rappresentato dal numero Otto dato che, come ben sappiamo, è
costituito, oltre che dalle quattro isole maggiori, da un numero enorme di isole
e isolotti.
Nella
dottrina cristiana, l’ottavo giorno rappresenta la trasfigurazione e il Nuovo
Testamento. Dopo i sei giorni della creazione e il settimo di
riposo, l’ottavo simboleggia la resurrezione del Cristo e dell’uomo
stesso annunciando quindi l’eternità. Nella filosofia orientale, l’interazione
cosmica dello Yin e dello Yang realizza le cosidette “Otto forze della
natura” e queste, nel loro insieme, danno forma agli otto trigrammi
del bagua (o pakua) che, a loro volta, danno origine ai sessantaquattro
esagrammi dell’I Ching.
Forte di tutte queste interessantissime,
fondatissime e approfonditissime conoscenze, senza grossi sforzi, il mio
inconscio ha trovato il suo punto di equilibrio, il centro di gravità
permanente, la provenienza e la destinazione mistica che mi consacrava a questo
tenero paffutello di mezza età. Da allora mi sembrava di essere positivamente
perseguitata dal 28. Ogni volta che guardavo l’ora i minuti erano 28. Ogni
volta che guardavo la targa di una macchina c’era di mezzo il 28. Numeri di
telefono, numeri civici, numeri dei cedolini delle raccomandate, numeri al
banco dei salumi, numero della pista di atterraggio, numero della tangenziale,
numero dello scontrino… vedevo il 28 ovunque. Ogni 28 del mese, matematicamente
mi arrivava un suo messaggio (eravamo ancora ai tempi dei sms). Ricordo
perfettamente il toc-toc-toc del mio vecchio dumb phone e il cuore in gola ad
ogni messaggio. Ricordo anche che quando l’anno scorso ho compiuto 28 anni ho
pensato che forse anch’io e mia figlia avremmo avuto 28 anni di differenza e
forse mia figlia avrebbe avuto la stessa consistenza paffutella di suo padre.
Fra due mesi i miei 28 anni sono finiti.
Non c’è traccia della bambina paffutella con grandi occhi e un grande appetito.
Non c’è traccia del tenero paffutello di mezza età. Il nostro 28 è stato
spezzato. Forse non è mai stato vero… forse, se proprio devo per forza dare un
significato simbolico sempre a tutto, posso concludere che visto che fra 2 mesi
avrò finito i miei 28 anni, vorrà dire che è giunta l’ora di chiudere anche
questa porta.
La magia del 28 con noi non ha
funzionato.
lunedì 24 ottobre 2016
i miei piedi vorranno andare dove tu dormi, ma continuerò a vivere.
venerdì 21 ottobre 2016
constatazione dei fatti.
È venerdì e
io non ho uno zaino sotto la scrivania.
mercoledì 19 ottobre 2016
cristallo
diceva lui:
è così, no?
si cristallizzano i momenti e poi ti rimangono i momenti e non più la persona in sé.
procediamo con la cristallizzazione dei momenti
è così, no?
si cristallizzano i momenti e poi ti rimangono i momenti e non più la persona in sé.
procediamo con la cristallizzazione dei momenti
Sull'autobus che ci portava verso l’aeroporto di Marco Polo
mi ero seduta di traverso sul primo sedile dietro l’autista. Ho agitato le
gambe nell'aria e lui ha detto che a volte sembro proprio una bambina. E io mi
sono improvvisamente sentita amata e riflessa nei suoi occhi raggianti.
Sarà il complesso di Elettra.
martedì 18 ottobre 2016
venerdì 14 ottobre 2016
sta su bella fiera.
I want you to know
He's not coming back
He's not coming back
martedì 11 ottobre 2016
eccomi.
non ti aspettavo
non mi aspettavo neanch'io
lunedì 10 ottobre 2016
questi antichi mood da 3 metri sopra il cielo
venerdì 7 ottobre 2016
the fur.
Io sono
pelosa. È una cosa di cui mi vergogno da quando ho 3 anni, perché prima
evidentemente non mi rendevo conto di essere ricoperta da un morbido strato di
pelo, o v u n q u e. Forse sarei andata avanti a non rendermene conto, ma,
oltre ad avere la fortuna di portarmi addosso visibili segni della mia
provenienza etnica, ho anche avuto quella di avere un fratello maggiore
spudoratamente biondo e liscio in ogni sua parte. Questo mio fratello mi
proibiva di avvicinarmi a lui in cortile d’estate perché si vergognava di
essere così liscio e biondo rispetto a me che sembravo un piccolo e morbido
roditore guanciuto. I miei compagni di classe mi prendevano in giro perché avevo
i baffi più virili di loro. Una volta ricordo che mi ero messa a piangere per
questo, avrò avuto 12-13 anni ed ero il terrore della scuola. Sapevo prendere
in giro con pungente ironia e noncuranza chiunque, per qualsiasi cosa. Sguazzavo
nella mia posizione di cinico giullare autoironico. Autoironico su tutto tranne
sulla mia lana, probabilmente perché era una cosa di cui mi vergognavo davvero.
Sapevo prendermi in giro per qualsiasi cosa tranne questa e poi boooommm. Qualcuno
ha notato il folto vivaio sotto il mio naso. Era una delle due volte nella mia
carriera scolastica in cui ho pianto in pubblico. Ricordo anche che la
professoressa di storia ha insistito finché una delle mie amiche non le ha
confidato il motivo dei miei occhi rossi. Poi la professoressa ha costretto i
due personaggi a scusarsi con me in privato. È un episodio che ricordiamo
sempre nelle nostre rimpatriate ubriache. Era un avvenimento storico: la m che
dimostra di essere fragile… sì, una volta avevo dei gran coglioni, ma poi mi
sono caduti.
Continuavo a
scassare la minchia a mia madre affinché mi lasciasse intervenire su questo
disastro, ma lei si rifiutava, perché, ingenua illusa, sperava che crescendo il
mio corpo si sarebbe accorto che sono una cucciola d’uomo e non di uno yeti ed
i peli sarebbero caduti improvvisamente ed autonomamente.
Non accadde.
Poi una sera
eravamo andate a trovare degli amici e tornate a casa, di sua spontanea
volontà, mi ha proposto di strapparmi un po’ di carne viva con la cera. Ho quasi
la certezza che sia stata la sua amica a suggerirle la mossa, fosse per lei
sarebbe ancora illusa del fatto che un giorno crescerò ed i peli cadranno
miracolosamente (ora non aspetta più la caduta dei peli, ma ha ancora delle
ingenue speranze sul fatto che io possa in qualche modo crescere).
E fu lì, all’età
di circa 13 anni, che iniziò la mia lotta contro i peli superflui. Ci sono
stati anni di ceretta casalinga con cui puntualmente mi scottavo la faccia e
poi andavo in giro con due orribili croste al posto dei baffi. Nella mia mente
credevo che continuando a scottarmi, un giorno la pelle avrebbe smesso di
produrre la lana. Non accadde.
Poi ci fu un
periodo di decolorazione del pelo. Mi tingevo le basette, la barba e i baffi di
quello che doveva rendere la lana invisibile e come risultato ottenevo un
effetto molto punk: capelli scuri e barba di un giallo paglierino.
A 18 anni ho
intrapreso un lungo e dolorosissimo ciclo di depilazione con l’ago elettrico. Per
chi ha la fortuna di non doverlo sapere: è un sottile ago che viene infilato in
ogni bulbo pilifero, viene fatta passare la corrente elettrica per uccidere il
bulbo e poi per almeno 3 settimane si ha una bomba atomica esplosa in faccia. Finito
quel dolorosissimo ciclo mi sono liberata per la maggior parte delle basette e
di una buona percentuale di baffo. Rimaneva il pizzetto, il collo e qualche
spavaldo quanto inaspettato pelo qua e là.
Dai 19 ai 22
anni sono tornata alla buona vecchia ceretta, con conseguenti scottature in
viso e rovina dell’effetto dell’ago elettrico, facendo ricrescere parecchia
della flora sterminata dalla corrente elettrica.
Dai 23 ai 28
anni mi sono lanciata sulla luce pulsata che pareva promettere miracoli senza
infliggere dolore e senza irritare la pelle. Il miracolo non accadde. I motivi
per cui ero andata avanti erano: 1. L’ago elettrico costava di più e
praticamente nessuno lo faceva 2. Era molto meno doloroso 3. Non avevi la
distruzione nucleare in faccia per le 3 settimane successive.
All’alba dei
29 anni mi sono rotta il cazzo di buttare via soldi senza avere risultati e
sono tornata all’ago elettrico: tortura ancora eseguita da un’unica estetista
di Verona. Una certa sig.ra C di un’età indefinita tra i 70 e i 90 anni, la
quale promette che entro l’estate risolveremo la questione.
Ora. La cosa
più buffa in tutto questo è che ieri, mentre tornavo a casa con la faccia ed il
portafoglio in fiamme, mi sono domandata: e se fra qualche mese, per effetto
collaterale di una qualche altra possibile cura, mi dovessero cadere tutti i
peli e i capelli? È una possibilità non troppo remota. Cosa ne penserò? Aver lottato
contro un fenomeno naturale, una natura selvaggia che si impossessava della mia
pelle, per poi vincere in modo così triste. Ho pensato che potrei chiamare mia
madre e dirle che il miracolo è accaduto: i peli sono andati via, sono
cresciuta! Ma ci ho ripensato, sarebbe troppo crudele.
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eccomi - Jonathan Safran Foer
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giovedì 6 ottobre 2016
verfremdungseffekt
Devo essermi
fatta un bagno in una vasca di anestetico fortissimo.
Non ho paura
dove dovrei avere paurissima. Dormo sogni profondi e bui, le immagini sfocate
si dileguano in 4 secondi. È come se tutto questo non stesse succedendo a me. Come
se la vita non mi stesse crollando addosso. Come se fosse solo un film o il racconto
di una vita di qualcuno di cui non me ne frega poi più di tanto. Forse questa è
la verità: la mia vita è il racconto di qualcuno di cui non me ne frega poi
tanto.
Esisto nella
avvolgente tenerezza di questa luce dorata autunnale e non voglio che questa
sensazione di estraniazione dalla mia stessa esistenza passi. Ho ormai appurato
da tempo di non essere in grado di gestire le situazioni reali, che sono nata
per fuggire dai dolori del giovane Werther (e anche da tutti gli altri dolori,
se è per quello). Non fosse che sono una ragazzina mediocre probabilmente, anzi
sicuramente, sarei diventata una tossica. Sfuggire alla realtà è l’unico modo
possibile per sopravvivervi, almeno per me. Non sono una lottatrice, sono un
gatto pigro e lento. Voglio continuare a riuscire a guardare da fuori la mia
vita. come fosse un curioso acquario.
Life in a
glass house.
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lunedì 3 ottobre 2016
Ha senso arrabbiarsi con una persona, sapendo che tanto dopo la perdoni?
domenica 2 ottobre 2016
eccomi - jonathan safran foer
-Okay... Dio mette alla prova Abramo, e il testo dice "Qualche tempo dopo, Dio mise alla prova Abramo. Gli disse: 'Abramo!' 'Eccomi' rispose Abramo". La maggior parte della gente dà per scontato che la prova sia che Dio chiede ad Abramo di sacrificare suo figlio Isacco. Ma secondo me si potrebbe anche leggere che la prova è quando Dio lo chiama. Abramo non dice: "Che cosa vuoi?" Non dice: "Sì" Risponde con una dichiarazione: 'Eccomi'. Qualunque cosa Dio voglia, Abramo è completamente presente per Lui, senza condizioni o riserve o necessità di spiegazioni. Quella parola - hinneni: eccomi - ritorna altre due volte in questo brano. Quando Abramo porta Isacco sul monte Moriah, Isacco si rende conto di quello che stanno per fare e di quanto le cose si mettano male. Sa che sta per essere sacrificato, come tutti i bambini che sanno sempre quello che sta per succedere. Si legge "E Isacco si rivolse al ad Abramo, suo padre, e gli disse: 'Padre mio!', ed egli: 'Eccomi, figlio mio'. E Isacco disse: 'Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov'è l'agnello per il sacrificio?' E Abramo disse: 'Dio provvederà all'agnello per il sacrificio, figlio mio'". Isacco non dice: 'Padre', dice: 'Padre mio'. Abramo è il padre del popolo ebraico, ma è anche il padre di Isacco, il suo padre personale. E Abramo non chiede: 'Che cosa vuoi?' Dice: 'Eccomi'. Quando Dio chiama Abramo, Abramo è completamente presente per Dio. Quando Isacco chiama Abramo, Abramo è completamente presente per suo figlio. Ma com'è possibile? Dio chiede ad Abramo di uccidere Isacco e Isacco chiede a suo padre di proteggerlo. Come può Abramo essere due cose opposte contemporaneamente? Hinneni è usato un'altra volta nel brano, nel momento più drammatico. "E arrivarono al luogo che Dio gli aveva detto e Abramo costruì un altare e preparò la legna, poi legò Isacco, suo figlio, e lo mise sull'altare sopra la legna. E Abramo stese la mano e prese il coltello per sgozzare suo figlio. E un messo del Signore lo chiamò dal cielo e disse: 'Non alzare la tua mano sul ragazzo e non fargli niente, perché adesso so che temi Dio e non mi hai negato tuo figlio, il tuo unico' ". Abramo non chiede: "Che cosa vuoi?" Dice: "Eccomi". La porzione di Torah per il mio Bat Mitzvah tocca molti temi, ma secondo me il più importante è la riflessione su quali sono le persone per cui noi siamo completamente presenti e come questo, più di qualunque altra cosa definisca la nostra identità. -
ci sono dei libri che sanno arrivare esattamente nel momento in cui hai bisogno di loro. sembra quasi una presa per il culo la precisione con cui riescono a spargere sale sulle ferite o costringerti a porti domande che avevi paura di affrontare. era successo con il 1984, i 100 anni di solitudine, maestro e margherita, kafka sulla spiaggia, homo faber, invisible monsters. sono arrivati esattamente nel momento in cui avevo bisogno di loro. così ora Eccomi di safran foer è esattamente quello di cui probabilmente non ho bisogno, perché mi fa fermare a ogni pagina, alzare gli occhi e versare leggerissime lacrime di autunnale tristezza. con questo non sto paragonando questo libro a maestro e margherita o ai 100 anni di solitudine, sarebbe quasi una bestemmia. questo non è un libro che rileggerò. è pesante e a tratti pretenzioso e a tratti banale, ma alcuni pezzi sembrano un abbraccio comprensivo e morbido o a volte una sfida sputata negli occhi. neanche una risposta però, nessuna risposta. resto senza risposte.
ci sono dei libri che sanno arrivare esattamente nel momento in cui hai bisogno di loro. sembra quasi una presa per il culo la precisione con cui riescono a spargere sale sulle ferite o costringerti a porti domande che avevi paura di affrontare. era successo con il 1984, i 100 anni di solitudine, maestro e margherita, kafka sulla spiaggia, homo faber, invisible monsters. sono arrivati esattamente nel momento in cui avevo bisogno di loro. così ora Eccomi di safran foer è esattamente quello di cui probabilmente non ho bisogno, perché mi fa fermare a ogni pagina, alzare gli occhi e versare leggerissime lacrime di autunnale tristezza. con questo non sto paragonando questo libro a maestro e margherita o ai 100 anni di solitudine, sarebbe quasi una bestemmia. questo non è un libro che rileggerò. è pesante e a tratti pretenzioso e a tratti banale, ma alcuni pezzi sembrano un abbraccio comprensivo e morbido o a volte una sfida sputata negli occhi. neanche una risposta però, nessuna risposta. resto senza risposte.
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venerdì 30 settembre 2016
eccomi - jonathan safran foer
giovedì 29 settembre 2016
Vieni
quando ne hai voglia
quando puoi
tra una partenza e un ritorno
dopo una scrollata di spalle
dopo avere assaporato la lacrima scesa sul labbro
Vieni
tra un sorriso e una salita
dopo un lancio di asciugamano
mentre le campane suonano a vuoto
Vieni
prenditi un giorno
invecchiamo insieme.
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Vincenzo Costantino
mercoledì 28 settembre 2016
eccomi - jonathan safran foer
Che cosa c'era di sbagliato in quel desiderio e in quel bisogno? Niente. E l'enorme distanza tra dove sei e quello che ti eri sempre immaginata non deve per forza indicare un fallimento. La delusione non dev'essere necessariamente deludente. Il desiderio, il bisogno, la distanza, la delusione: crescere, conoscere, impegnarsi, invecchiare accanto a un altro. Da soli si può vivere perfettamente. Ma non una vita.
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martedì 27 settembre 2016
.i hate humans.
Credo di essere
una razzista. Se non fosse per l’educazione che ho ricevuto, probabilmente
sarei dichiaratamente nazista.
Io odio gli
psicopatici e gli isterici. Mi rendo conto perfettamente che è una malattia,
che è come prendersela con uno che ha il raffreddore o la gastrite o l’artrite.
Riesco ad essere tollerante con uno che continua a tossire o deve essere
selettivo nel mangiare o riempirsi di insulina per sopravvivere. Ma non riesco
proprio a sopportare gli schizzati. Quelli che reagiscono in maniera esagerata,
imprevedibile, quelli che si compiangono o distorcono la realtà, non sopporto
la gente dai gesti imprevedibili (e non sorprendenti). Mi scatta la violenza. Mi
rendo conto che dovrei essere paziente, che ognuno sta combattendo la propria
lotta, ma mi pare di capire che la gente stia usando questa storia per autoassolversi
in maniera un po’ troppo generosa. Io li prenderei tutti a schiaffi. Proprio non
riesco ad essere paziente e dirmi che si ha continuamente a che fare con delle
diagnosi più o meno lievi. Io la mia merda me la mangio da sola, al massimo la
vomito un po’ qua, prima ne riempivo la testa al mio ragazzo, ma non è che se
ho la merda nel cervello sono autorizzata ad alitarla in faccia a tutti con arroganza
giustificandomi con una presunta instabilità emotiva. Che
cazzo è? Uno ha i complessi di inferiorità, quell’altro ha le manie di
grandezza, quell’altro ha le manie di persecuzione, quell’altro ha l’eiaculazione
precoce, quell’altra non scopa da mesi, quell’altro ha la moglie troia, quell’altra
non riesce a rimanere incinta, quell’altro ha un rapporto problematico con la
madre (che poi sta storia di dare continuamente la colpa del proprio malessere
ai genitori mi sta proprio in culo. Dio cristo, hai 80 anni, ripigliati un attimo),
quell’altro ancora è frustrato perché non vuole lavorare in un ufficio, quell’altro
perché non trova un lavoro, quell’altro perché vorrebbe viaggiare e non può,
quell’altro per sa il cazzo cos’altro… ma vogliamo smetterla?
Voglio dire,
chiaro che la vita non è esattamente il regalo che ci saremmo aspettati di
trovare sotto l’albero. Chiaro che siamo cresciuti in una società consumista
che ci spinge ad essere perennemente insoddisfatti sia a livello materiale che
emotivo, chiaro che il benessere e la relativa sicurezza e stabilità politica
ci vizia al punto da poterci permettere il lusso delle lotte interiori e
capricci di vario genere, ma siamo anche nell’era dell’individualismo signori,
che per me è una delle più grandi conquiste della civiltà moderna, la quale
prevede di farsi i cazzi propri e non disturbare gli altri con le proprie
fottute malattie mentali. E invece no, invece il bisogno di protagonismo è più
forte, abbiamo bisogno di essere cagati, compatiti o sgridati o analizzati, ma
soprattutto cagati. Abbiamo bisogno di far sapere a tutti che stiamo di merda e
lo facciamo in modi diversi, ma tutti ugualmente fastidiosi.
Ecco. Io non
sopporto i depressi. Preferisco gli incazzati, i cinici, i nichilisti, ma non
gli schizzati. E non ho alcuna intenzione di fingere la solidarietà. Se il tuo
comportamento mi irrita, voglio potermi permettere il lusso di evitare la tua
compagnia. A meno che tu non sia il mio capo ovviamente, in qual caso cerco di
sorridere alle tue chiare manifestazioni di schizofrenia, con la solida
certezza che negli occhi mi si legga il più profondo dei disprezzi.
Oh là.
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lunedì 26 settembre 2016
le 10 regole
Bisogna saper stare sul pezzo. E il pezzo
degli ultimi tempi sono le classifiche, le regole, gli elenchi.
Elenco quindi di seguito, in ordine sparso,
i miei spassionati consigli a coloro che stanno affrontando, affrontarono in
passato od affronteranno in futuro il caso di un caro nel primo periodo della
separazione:
- Non insultarmelo. Perché ti strappo gli occhi e te li infilo su per il culo
- Non dirmi che sicuramente troverò di meglio: non tutti gli umani sono progettati per cacciare sempre, una potrebbe anche decidere di fermarsi per qualche decennio e, soprattutto, al momento è impossibile pensare che ci sia qualcosa di meglio
- Non cercare di tirarmi fuori di casa per forza: passeremo una serata di merda dalle risate sforzate e coglioni per terra
- Non cercare di presentarmi altri uomini: ho la libido sotto terra
- Non cercare di coinvolgermi in attività ludiche prima a me sconosciute quanto sgradevoli: già ho i cazzi miei, se poi devo fare delle cose di cui non me ne frega una beata minchia solo perché “almeno ti distrai”, la coltellata in gola mi è assicurata
- Non consigliarmi di mangiare di più: so anch’io perfettamente che se non mi nutro muoio e se non lo sto facendo non è perché ci godo
- Non farmi i complimenti che non merito: già suonano falsi quelli detti sinceramente, figuriamoci quelli da life coach rottinculo
- Non convincerti che se sto da sola mi taglio le vene: è solo che preferisco dormire piuttosto di reggere la compagnia di chiunque
- Non. Assolutamente. Non. Dirmi.: “te l’avevo detto che sarebbe andata così!” : Vedi punto1
- Non ipotizzare chi dei due ci metterà di più a cuccare: Vedi punto 4.
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lunedì 19 settembre 2016
La
disillusione è perfida. Sa avvicinarsi lentamente e avvelenare i sogni. Ogni giorno
ne perdi un pezzo per poi ritrovarti in un pozzo pieno di vuoto.
La si
combatte ogni giorno, con piccole illusioni infantili. La si combatteva ogni
giorno.
Oppure sa
piombare da un giorno all’altro. Tagliare le palpebre con un rasoio sottile.
Ed è come un
palloncino che scoppia.
Altre volte è
come un palloncino che lentamente si sgonfia. Prima eri piena, poi eri un po’
meno piena e un po’ più spaventata. Ma stupida capricornuta del cazzo, ci
credevi fino all’ultimo secondo. Finché un giorno ti sei svegliata con le
ferite sulle palpebre e hai visto il vuoto. Ecco. Ho visto il vuoto. La disillusione
è arrivata da un giorno all’altro. Totale. In effetti è stata un po’ entrambe
le cose… si è insinuata passo dopo passo, indifferenza dopo indifferenza,
compromesso dopo compromesso, magone dopo magone per poi arrivarmi addosso come
una betoniera lenta. Mi sta ancora passando sopra, ci sono sotto solo con le
gambe. Passerà. Mi metterò un pollice in bocca, soffierò forte e mi rigonfierò
come nei cartoni animati. E sarò di nuovo libera di respirare. Toglierò i
pezzettini di vetro con una pinzetta. Dagli occhi, dalle mani, dalla lingua,
dall’ombelico, dalle mutande. Mi disinfetterò e metterò delle tenere bende. Mi curerò
e imparerò ad amarmi anche in versione spezzata. Anche in versione buttata via.
Anche in versione rifiutata. Anche in versione sfigata.
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giovedì 15 settembre 2016
L’amore ai tempi di vozap
È un gioco
che si sviluppa su più livelli.
Entri sulla
conversazione per vedere l’ultima entrata
Lo becchi
online
Ti domandi se
è online con qualcuno o se anche lui come un imbecille sta guardando il tuo
essere online e sta pensando la stessa cosa
Ti convinci
che sicuramente è online con qualcun altro
Il prossimo round
si chiama: chi molla per primo.
Molli tu e
hai la consapevolezza di essere una figa e immediatamente dopo ti fai profondamente
pena
Molla lui e
ti senti abbandonata perché hai capito che era online con qualcun altro.
Molli tu e
nel giro di un secondo ti arriva un suo messaggio e vivi un momento di
esaltazione e gloria manco avessi vinto un oscar
Non molli e
ti arriva un suo messaggio così lo visualizzi subito e lui ti sgama che eri lì
che lo fissavi e vivi un momento di profondo disprezzo nei confronti di te
stessa ripromettendoti di non fare mai più questo gioco.
Poi ti
imbatti in un qualche test tipo “qual è la tua età cerebrale” e lo ignori in
fretta, sapendo bene che la tua età cerebrale si è evidentemente fermata a 13
anni.
Bah
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mercoledì 14 settembre 2016
È troppo facile subire.
We must all
face the choice between what is right and what is easy.
Mi sveglio
ogni mattina incazzata: probabilmente è il preciclo: ho l’orgoglio che
sanguina. Mi sveglio e sento fisicamente di essere un residuo organico in
decomposizione. Qualcosa che non serve. Che serve finché va bene e se oppone
resistenza si lascia scivolare via con garbo… come quando si butta per terra
una sigaretta finita facendo finta che sia caduta per sbaglio. Lasciata perdere.
Lasciata andare via. Mi sveglio incazzata e ferita perché ho permesso tutto
questo. Mi schiaffeggio e mi rimetto insieme, ma il risveglio nella mia pelle
di residuo organico mi fa venire da vomitare tutti i giorni.
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lunedì 12 settembre 2016
felicità sintetiche
È come
metadone.
Stelle – Stalle
in tempo zero.
Una bella
giornata ti pompa di adrenalina. Poi infili una maglietta lavata con un
detersivo di cui non ti ricordavi di ricordare così bene il profumo e cadi di
nuovo al punto di partenza.
Cosa cazzo
stiamo facendo a noi stessi?
Quando la
questione si filtra e si purifica all’essenza di quello che è, mi domando
incredula di nuovo e di nuovo e di nuovo – ma cosa cazzo stiamo facendo a noi
stessi?
Poi l’essenza
viene diluita. Si aggiungono i principi, l’orgoglio, la cazzutaggine, i denti
stretti, le scomodità e mi sembra di essere in una stanza che lentamente si sta
restringendo schiacciandomi dentro.
Poi
Arriva un
messaggio
Una telefonata
Una foto
E di nuovo
stelle
E poi
Di nuovo
stalle
Bah.
mercoledì 7 settembre 2016
buon appetito
Ho la bocca
piena di vomito. Ogni mattina. Esclusa al 100 % la possibilità di essere stata
ingravidata da chicchessia, il sintomo rimane ed è ancora più disgustoso vista
la sua genesi. Credo di essere nauseata da me stessa. Certo, potrei trovare un
milione di fattori intervenienti che mi rendono la vita nauseante. Faccio un
lavoro che non mi piace e che non mi riesce nemmeno bene. Vivo in un posto che
non mi piace, in una situazione malsana e ho continuamente l’ansia di dover
cercarmi un altro posto, che probabilmente non mi piacerà, ma quanto meno sarò libera
di girare nuda per casa, ubriacarmi da sola e piangermi addosso o sgrillettarmi
in libertà sul pavimento della sala. La persona a cui avrei voluto legare la
mia vita alla fine mi ha estromessa dalla sua relegandomi ad uno schermo del
telefono. La migliore amica che avevo mi rende triste giudicando qualsiasi mio
comportamento. Mia madre sta invecchiando sola e io non posso neanche aiutarla
a fare la spesa. Mia zia sta morendo di tumore. Il mio cane ha perso l’uso
delle zampe posteriori. Tutto questo e, volendo, tanto altro, mi rendono la
vita pesante, per non dire merdosa. Ma in fondo al vaso di merda, trovo la mia
faccia: sono io che non mi vado bene, sono io la persona con cui devo e non
voglio convivere quotidianamente. E credo sia questo il motivo delle mie nausee
mattutine. Mi guardo allo specchio e vedo una quasi trentenne con la faccia da
ventenne e col cervello da tredicenne e con la voglia di vivere di un’ottantenne.
L’unico istinto che ho è quello di andare in una foresta e perdermi per sempre.
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mercoledì 31 agosto 2016
infinita fiducia nell'umanità.
Sono anni che penso di incidere una traccia che parta in
automatico quando mi presento alla gente.
La farei partire subito dopo la stretta di mano per poter
saltare la caduta dei coglioni iniziale con le domande del cazzo tipo
“ma davvero non sei italiana? Cavolo non l’avrei mai detto,
non hai proprio nessun accento”
“Georgia? Russia? Ah no, non Russia, giusto giusto”
“ma davvero hai 29 anni? Te ne davo al massimo 20”
“sei venuta qua tutta sola a 15 anni? Ma pensa che coraggio”
“e com’è vivere con tuo fratello?”
“e non ti manca la tua casa?”
“si sta meglio qua o in Georgia?”
“torni ogni tanto in Georgia”
“è bella la Georgia?”
"ricordami la capitale che non me la ricordo mai" - seeeeh non te la ricordi mai, caprone di un coglionazzo
“ma che lingua parlate? Georgiano? Cos’è tipo russo? Ah addirittura
una scrittura diversa” – a questo punto si tira fuori il telefono e si mostra l’alfabeto
per dare più peso all’affermazione, per poi rendersi conto che l’interlocutore
non vede differenza alcuna tra georgiano, cirillico e sanscrito.
“e come mai hai scelto proprio l’Italia?”
– questi gli scettici sempre pronti a
sputare nel proprio piatto
“ma pensi di tornare in Georgia o
starai qui per sempre?” – detta con un
leggero terrore nello sguardo, consapevole che il Bel Paese è invaso da
parassiti
Registrerei delle risposte gentili e le farei andare
stampandomi un bel sorriso di plastica in faccia mentre la traccia avanza.
Quanto vorrei vivere in una società
in cui rispondere alle domande di merda a suon di schiaffi non sia perseguibile
dalla legge
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lunedì 29 agosto 2016
.dentistretti.
Vabbè la
banalità mi è sempre appartenuta. Ognuno si cura come meglio crede, io mi curo
scrivendo minchiate a vanvera solo quando non sto bene. A rileggere questi
diari mi rendo conto di quanta depressione potrei trasmettere, ma in fondo…
chemenefotte?
passo così a
rivedere tutta la vita con nuovi occhi. di nuovo. Mi armo di gomma a forma di
orologio e mi metto a cancellare. Ridisegno i miei giorni. Mi rifaccio la
stessa domanda con una frequenza pari a 30/min. e ogni volta la risposta mi si
incastra nella gola e faccio fatica a respirare. Non è nulla di tragico in
fondo, il tempo sistema tutto, tutto si cristallizza e rimangono solo i bei
ricordi, ma mi fa rabbia pensare che ho buttato via 4 anni di emozioni
positive. Certo, poi mi dico che non sono buttati, che è stato bello, che i
miei coglioni… sono buttati in realtà. Buttati perché il meglio era nei
dettagli, nei risvegli, nei sorrisi, nelle battute idiote, nell’abbracciarsi,
sfiorarsi, nel mettersi insieme in macchina, nel tornare a casa la sera,
leggere le notizie dell’internazionale, fumare le sigarette in punta di piedi,
stendere la lavatrice, guardarsi di nascosto… tutto questo si cancellerà, non
ne rimarrà più niente. Rimarranno i viaggi, le foto, qualche luogo, qualche
data… e poi nulla.
Lo trovo
terribile.
Mi viene da
sbattere la testa contro i muri al pensiero che tutto quello che mi riempiva la
vita fino all’altro ieri ora scomparirà lentamente. Come un Alzheimer
sentimentale. Il tutto si dilegua e resta solo un nome e un viso e non c’è
neanche lo sforzo di doversi evitare. Ognuno nella propria caverna. A me, la
mia non è che faccia paura, però un po’ di schifo mi fa, ecco.
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venerdì 5 agosto 2016
ultimo giorno di lavoro.
Come i bambini.
Quando sono molto stanca comincio a piangere e non riesco più a
smettere.
O forse sono
semplicemente troppo viziata. Totalmente incapace di reagire alle
situazioni, al mondo , al fatto che a volte la gente risponde male
ingiustamente, al fatto che le cose sono così totalmente diverse da
quello che sognavo.
Non so reagire. Mi
metto a piangere. Come i bambini.
venerdì 1 luglio 2016
lavorare.
Lavorare d’estate.
Lavorare d’estate
dopo pranzo in perenne lotta contro il totalizzante bisogno di siesta
Lavorare d’estate
dopo pranzo in perenne lotta contro il totalizzante bisogno di siesta e dopo
una birra media
Lavorare d’estate
dopo pranzo in perenne lotta contro il totalizzante bisogno di siesta e dopo
una birra media dovendo affrontare un lavoro e una montagna di responsabilità
completamente nuove e completamente da sola. Dovendo fare delle domande e
rischiando di alitare birra e siesta in faccia agli anziani colleghi pieni di
pregiudizi.
Ancora 4 ore.
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venerdì 24 giugno 2016
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mercoledì 22 giugno 2016
stay sunshine
Arriva poi
quel momento. Il primo giorno d’estate
e inizio a canticchiare le canzoni di
pino daniele mentre prendo il sole nel parco della zona industriale di Verona. Per
distrarmi faccio rigirare nella mente
le scene dei film di Troisi per completare l’ambientazione da pino daniele. Chiudo
gli occhi al sole e parte la malinconia, la sensazione di totale abbandono, l’ansia
nella pancia come la definisce il mio ragazzo. La sensazione surreale che sanno
trasmettere i mezzogiorni di calore.
Benvenuta estate.
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martedì 21 giugno 2016
solstizio
relationshit
e
silenzi a vanvera
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mercoledì 15 giugno 2016
gli emo hanno capito tutto
tra le sensazioni che più detesto, quella di rendermi conto di essere un'illusa del cazzo mi fa infuriare in una maniera che sfiora il biblico.
è un duro colpo all'autostima di una cinica come me. tutte le volte che c'è da illudersi io son quella che caga nella poesia del momento o dell'idea. però quando succede il contrario mi arrabbio un sacco. mi strappo a morsi le alette che ieri battevano felici. mi schiaffeggio da sola e scatarro sul mio riflesso nello specchio. stupida come dieci ragazzine stupide. stupida di una trentenne che si pensa una sedicenne. stupide speranze. stupide finte certezze. stupida fiducia. stupida stupida stupida felicità furiosa smerdata in una maniera banale e stupida. stupida. stupida.
beh dai, per una volta che il preciclo non era ormonalmente incazzato la merda arriva da qualche altra parte.
vorrei prepararmi un grosso calderone di merda e buttare dentro tutti i bei pensieri degli ultimi tempi, mescolare piano, stufare a fuoco lento, e poi mangiare con una paletta da gelato la merda tiepida. forse alla fine del pasto capirò che gli emo hanno capito tutto.
è un duro colpo all'autostima di una cinica come me. tutte le volte che c'è da illudersi io son quella che caga nella poesia del momento o dell'idea. però quando succede il contrario mi arrabbio un sacco. mi strappo a morsi le alette che ieri battevano felici. mi schiaffeggio da sola e scatarro sul mio riflesso nello specchio. stupida come dieci ragazzine stupide. stupida di una trentenne che si pensa una sedicenne. stupide speranze. stupide finte certezze. stupida fiducia. stupida stupida stupida felicità furiosa smerdata in una maniera banale e stupida. stupida. stupida.
beh dai, per una volta che il preciclo non era ormonalmente incazzato la merda arriva da qualche altra parte.
vorrei prepararmi un grosso calderone di merda e buttare dentro tutti i bei pensieri degli ultimi tempi, mescolare piano, stufare a fuoco lento, e poi mangiare con una paletta da gelato la merda tiepida. forse alla fine del pasto capirò che gli emo hanno capito tutto.
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martedì 14 giugno 2016
blessed are the damned
sogno di essere nel parco vicino a casa mia. chiusa in una stanza di vetro galleggiante sopra la piscinetta dove quando ero bambina nuotavano cigni, siringhe, lattine di birra e preservativi usati. però nel sogno è invece tutto pulito e la mia piccola stanza di vetro è insonorizzata e dentro i colori dell'acqua verde e degli alberi sono intensi. fuori dalla stanza vedo il mio ale con un'improbabile barba folta che va in giro con il mio zaino a proporre ai passanti di comprare le mie mutande (che tra l'altro sapevo essere già usate)... e sono furiosa, tra l'altro perché lui lo sa che deve venire nella stanzetta di vetro con me perché lo sto aspettando e senza di lui non posso uscirne e lui è lì che fa il coglione.
appare del tutto inutile analizzare il sogno. è così anche nella realtà: io che aspetto l'ale che venga a tirarmi fuori dalla campana di vetro e l'ale che fa il coglione. neanche una soddisfazione di simbolismo freudiano, perdincibacco.
mi sveglio
su vozap: messaggio della persona che ha vinto il premio viscidume 2016 con un link che in 5 righe cita Rubbia sotto il titolo "scoperta la bufala del cambiamento climatico". Ora, va bene che c'è tutta un'ala di negazionisti, ma leggere di prima mattina un articolo superficiale che dichiara (citando Rubbia) che il cambiamento climatico è stato inventato per mettere in azione una serie di costose normative ambientali sfiora anche il limite della mia angelica pazienza. non resisto e mi lancio in discussioni sull'industria, le lobby, l'innegabilità del cambiamento climatico, scagliandomi contro il negazionismo, le teorie cospirazioniste sulle scie chimiche e i video che hanno commosso il web.
arrivo a Verona: diluvio
ombrello: lasciato in ufficio perché ieri c'era il sole (la logica è ferrea)
prendo l'autobus: becco il collega.
divago: il collega che becco periodicamente in autobus è un rumeno super carino e dolce e tenero e soprattutto molto intelligente. niente contro il rumeno. ma io la mattina, in viaggio, proprio non riesco, non posso, non tollero di dover parlare con qualcuno. è come se mi sentissi costretta: sei in un autobus, devi fare 10 minuti di viaggio e altri 5 a piedi con una persona che può anche essere la migliore al mondo, ma mi provoca disagio condividere i viaggi con qualcuno che non mi sia abbastanza intimo da permettermi di stare zitta senza per questo passare per scorbutica misantropa snob.
becco il collega che insiste per condividere con me il suo ombrello (rotto). risultato: ho un debole getto che dolcemente mi scende dietro il collo.
arriviamo al cancello della ditta: passo deciso e mi trovo in una pozzanghera alta circa 10 centimetri, nonché la metà della mia statura.
le scarpe mi fanno malissimo
le ovaia mi fanno malissimo
eppure.
eppure..
eppure...
basta una vecchia canzone e ho di nuovo quel paio di alette sporche e spelacchiate che battono euforiche sulla schiena.
sono pulsante e viva in un modo travolgente.
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lunedì 6 giugno 2016
tragica di una ragazza tragica.
Continuo a farmi
domande sul senso della mia vita. mi investono nel momento in cui suona la sveglia
alle 5.55 del lunedì. Mi domando il perché di tutto questo, il per cosa, il
come mai sono arrivata a questo. Mi domando se mi sto semplicemente
autoassolvendo motivando questa vita col fatto che mi ci sento costretta dalle
aspettative di chi ha investito un’intera vita in me. Mi domando se questa mia
mediocrità, se questo mio essere un piccolo pezzo dell’intricato mosaico
capitalistico sia perdonabile. ho sempre sperato di non diventare così, ho
sempre sperato di poter fare quello che amo, di poter essere felice del mio
lavoro. Ho sempre pensato che visto che bisogna per forza lavorare per vivere e
che si passa la maggior parte del tempo al lavoro, allora che sia un lavoro almeno
parzialmente soddisfacente. Che sia uno sbattimento, che sia fonte di ricche
bestemmie, ma che dia un senso alle mie ore, che mi faccia stare bene. Io così
non ci riesco. Ci provo, ma non ci riesco ad essere felice se vendo un forno o
se firmo un contratto. Invidio la gente che ama vendere i forni, ma a me fa
cagare. O meglio non mi fa cagare, però mi è del tutto indifferente. Se mi
faccio la domanda globale tipo: sul serio, cosa vorresti fare nella vita? risponderei
che vorrei viaggiare per sempre, o quanto meno fino a quando la salute me lo
permette oppure vorrei avere tre figli, un cane, un ale, un piccolo giardino
fatato e una piccola libreria piena di libri che abbiamo raccolto negli anni.
In nessuno dei due
casi vorrei lavorare in un posto che vende forni o marchingegni simili. Non voglio
vendere niente in realtà, non sono fatta per vendere. Vendere in tutti i casi
prevede un’inculata. Anche se vendi viaggi o libri o traduzioni o.. si vende
sempre ad un prezzo superiore a quello giusto. Quindi di fatto io vendendo
inculo. Vabbè, ora non parliamo del nuovo ordine di economia globale che ho in
mente. Parlo di me: faccio questo lavoro e non sto realizzando nessuno dei miei
sogni. Né quello di lavorare in cooperazione, né quello di avere una famiglia, né
quello di viaggiare. Lo faccio perché la mia famiglia si aspetta che io diventi
una media borghese del cazzo, con una casa, una famiglia e un agio quotidiano. Io
invece lavoro e basta. Non costruisco nulla, non sto andando da nessuna parte. Mi
sveglio bestemmiando tutte le mattine per andare a fare una cosa che non mi
piace e non posso neanche dire che mi sto sacrificando per un sogno. Mi sto
sacrificando per niente. Solo per non dare dispiacere a chi mi ama che poi in
fondo sono comunque dispiaciuti perché vedono che non è che io sia esattamente
felice. Però il fatto che io non sia felice è colpa mia, perché ho il cervello
montato storto, ho il vento in testa e non capisco cosa sia meglio per me. Evidentemente
è meglio fare un lavoro del cazzo, vivere nella periferia industriale della
pianura padana e pensare che forse un giorno avrò una famiglia e tutto questo
sarà ripagato.
Mi sento
intrappolata in un cerchio senza uscita. Spezzare il cerchio vuol dire spezzare
il cuore di chi amo. Continuare a stare dentro il cerchio vuol dire spezzare la
mia personalità, diventare via via più frustrata e insoddisfatta e, nel
migliore dei casi, vivere per consumare cose di cui non ho bisogno fingendo di
esserne felice. D’altra parte questo genere di ideologiche frivolezze mi sono
possibili solo perché un minimo di agio ce l’ho. Perché fossi senza casa e
senza cibo probabilmente sognerei di fare quello che faccio. Fossi una
cooperante dovrei vivere con 800 euro al mese risparmiando un mese per fare un
regalo per il matrimonio di un’amica. Il cerchio continua a stringersi intorno
a me. L’unica salvezza morale che vedo è quella di poter tornare dal lavoro e affondare
la faccia nel profumo del mio ale e anche questo pare del tutto impossibile.
Ora. A me è sempre
stato detto che sono una persona con i coglioni, che sono decisa e agguerrita
contro i problemi. Io ho sempre pensato di essere incredibilmente vulnerabile e
spaventata. Alla fine la vita dimostra che le palle ce le ho… o quanto meno una
volta le avevo. Quindi qual è il problema? Perché non riesco a prendere in mano
la situazione? È davvero così grande la paura di spezzare il cuore di mia
madre? È davvero così grande la responsabilità della sua vecchiaia? Sì. Evidentemente
sì. Perché i coglioni li ho solo per me, ma quando ho addosso anche la
responsabilità per altra gente non riesco ad essere abbastanza decisa da
rischiare il tutto per tutto. Quindi avanti gente, comprate un’impastatrice con
cui produrre i biscotti senza glutine, senza uova, senza farina, senza anima,
senza che qualcuno sfiori l’impasto con le mani. Avanti, signori, comprate
impastatrici, biscotti, cracker, ingozzatevi e non pensate all’unica vita che
ci è stata data, in un mondo che sta andando a puttane e che noi sprechiamo per
svegliarci alle 5.55 per fare un lavoro che ci fa schifo, per vivere una vita
che ci fa schifo, sognando cose che non abbiamo il coraggio di raggiungere,
passando la vita a cercare di sottostare alle strutture sociali, ad essere come
il mondo ci vorrebbe, a guardare la tv la sera, scuotere la testa leggendo i
quotidiani… avanti signori, perché non praticare un suicidio di massa? Si risparmierebbe
solo tempo ed il pianeta ce ne sarebbe eternamente grato.
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mercoledì 1 giugno 2016
il primo giugno dell'anno bisesto
Siedo piena di
doni. è un mercoledì prima di quattro giorni di lunghe dormite e risvegli pieni
di lunghi stiracchiamenti nel letto e lunghe letture nel sole. Un montatore mi
ha portato delle bocche di leone. Una commerciale mi ha portato tre rose che
profumano come la bulgaria. Un ragioniere mi ha portato mirtilli e lamponi e un
altro ragioniere 7 ciliegie mature. amata e coccolata. Ho un moroso
bellissimo e spettacolare e va tutto in una maniera spaventosamente bella.
Ma poi arriva il
corvo dalle ali nere e mi porta via tutto il bello che ho. E mi arrabbio perché
qualcuno, un paio di ali nere mi possono portare via tutto il bello che ho. Tutto
l’amore che mi circonda e tutto l’amore che ho dentro. Me lo portano via con le
migliori intenzioni... sto cercando un algoritmo che mi aiuti a risolvere
questa situazione, ma non lo trovo. L’unica soluzione è quella del fu mattia
pascal: fingersi morta e ricominciare a vivere sotto mentite spoglie. Inizio le
giornate piangendo. Un po’ di gioia e un po’ di merda ma alla fine la domanda
resta sempre… e io devo rispondere e devo rispondere in fretta e ho rabbia e
paura e ogni tanto vorrei spararmi in bocca ed è una cosa contrastante e però
non è bello essere felici ed essere costretti ad essere invece infelici e dover
per forza piegarsi alle ali del corvo. Perdincibacco.
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Eppure non mi dà riposo
sapere che in uno o in due noi siamo una sola cosa.
martedì 31 maggio 2016
non mi stancherà mai
Ho
sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e
ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche
così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il
mio dura tuttora, né più mi occorrono
le
coincidenze, le prenotazioni,
le
trappole, gli scorni di chi crede
che
la realtà sia quella che si vede.
Ho
sceso milioni di scale dandoti il braccio
non
già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con
te le ho scese perché sapevo che di noi due
le
sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano
le tue.
lunedì 30 maggio 2016
rainbow warrior
sono decisa ad allontanare le persone negative dalla mia esistenza.
ma come faccio se le persone più negative della mia vita sono esattamente le persone a cui voglio più bene?
ma come faccio se le persone più negative della mia vita sono esattamente le persone a cui voglio più bene?
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venerdì 13 maggio 2016
in linea con la copertina dell'internazionale di questa settimana.
La
società ci costringe ad odiare il ciclo. Inventa sempre nuovi metodi
per ovviare allo scazzo del ciclo. Il ciclo è un impedimento.
Per me
non lo è. Per me l’impedimento è la società. In quelle rare e
fortunate occasioni in cui ho la possibilità di passare i primi due
giorni del ciclo a casa o comunque in una situazione rilassata, è un momento
che mi godo tantissimo. Un momento in cui mi sento perfettamente in
comunione con la terra, sento di essere come un albero, sento
l’energia fluire attraverso
di me verso la terra (anche se mi rendo conto che il verbo “fluire”
possa far addurre ad altre associazioni in questo contesto).
Nel
momento in cui il dolore passa, sento una dolcezza perfetta spandersi
in tutto il corpo, mi sento morbida materna femmina e brutta. Perché
è inevitabile: la pelle perde di elasticità, i capelli diventano
secchi, le gambe gonfie, le occhiaie assumono un volume simile agli
emisferi. Eppure mi sento donna. Vorrei potermi permettere di
muovermi piano piano, di
avere il tempo di percepire i contorni e la sostanza del mondo che mi
circonda.
E
invece sono in un ufficio a battere su dei tasti. Devo essere
scattante, reattiva, muovermi in fretta e non far trasparire né il
dolore né la dolcezza.
Quanto
vorrei non avere fretta.
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