lunedì 6 giugno 2016

tragica di una ragazza tragica.

Continuo a farmi domande sul senso della mia vita. mi investono nel momento in cui suona la sveglia alle 5.55 del lunedì. Mi domando il perché di tutto questo, il per cosa, il come mai sono arrivata a questo. Mi domando se mi sto semplicemente autoassolvendo motivando questa vita col fatto che mi ci sento costretta dalle aspettative di chi ha investito un’intera vita in me. Mi domando se questa mia mediocrità, se questo mio essere un piccolo pezzo dell’intricato mosaico capitalistico sia perdonabile. ho sempre sperato di non diventare così, ho sempre sperato di poter fare quello che amo, di poter essere felice del mio lavoro. Ho sempre pensato che visto che bisogna per forza lavorare per vivere e che si passa la maggior parte del tempo al lavoro, allora che sia un lavoro almeno parzialmente soddisfacente. Che sia uno sbattimento, che sia fonte di ricche bestemmie, ma che dia un senso alle mie ore, che mi faccia stare bene. Io così non ci riesco. Ci provo, ma non ci riesco ad essere felice se vendo un forno o se firmo un contratto. Invidio la gente che ama vendere i forni, ma a me fa cagare. O meglio non mi fa cagare, però mi è del tutto indifferente. Se mi faccio la domanda globale tipo: sul serio, cosa vorresti fare nella vita? risponderei che vorrei viaggiare per sempre, o quanto meno fino a quando la salute me lo permette oppure vorrei avere tre figli, un cane, un ale, un piccolo giardino fatato e una piccola libreria piena di libri che abbiamo raccolto negli anni.
In nessuno dei due casi vorrei lavorare in un posto che vende forni o marchingegni simili. Non voglio vendere niente in realtà, non sono fatta per vendere. Vendere in tutti i casi prevede un’inculata. Anche se vendi viaggi o libri o traduzioni o.. si vende sempre ad un prezzo superiore a quello giusto. Quindi di fatto io vendendo inculo. Vabbè, ora non parliamo del nuovo ordine di economia globale che ho in mente. Parlo di me: faccio questo lavoro e non sto realizzando nessuno dei miei sogni. Né quello di lavorare in cooperazione, né quello di avere una famiglia, né quello di viaggiare. Lo faccio perché la mia famiglia si aspetta che io diventi una media borghese del cazzo, con una casa, una famiglia e un agio quotidiano. Io invece lavoro e basta. Non costruisco nulla, non sto andando da nessuna parte. Mi sveglio bestemmiando tutte le mattine per andare a fare una cosa che non mi piace e non posso neanche dire che mi sto sacrificando per un sogno. Mi sto sacrificando per niente. Solo per non dare dispiacere a chi mi ama che poi in fondo sono comunque dispiaciuti perché vedono che non è che io sia esattamente felice. Però il fatto che io non sia felice è colpa mia, perché ho il cervello montato storto, ho il vento in testa e non capisco cosa sia meglio per me. Evidentemente è meglio fare un lavoro del cazzo, vivere nella periferia industriale della pianura padana e pensare che forse un giorno avrò una famiglia e tutto questo sarà ripagato.
Mi sento intrappolata in un cerchio senza uscita. Spezzare il cerchio vuol dire spezzare il cuore di chi amo. Continuare a stare dentro il cerchio vuol dire spezzare la mia personalità, diventare via via più frustrata e insoddisfatta e, nel migliore dei casi, vivere per consumare cose di cui non ho bisogno fingendo di esserne felice. D’altra parte questo genere di ideologiche frivolezze mi sono possibili solo perché un minimo di agio ce l’ho. Perché fossi senza casa e senza cibo probabilmente sognerei di fare quello che faccio. Fossi una cooperante dovrei vivere con 800 euro al mese risparmiando un mese per fare un regalo per il matrimonio di un’amica. Il cerchio continua a stringersi intorno a me. L’unica salvezza morale che vedo è quella di poter tornare dal lavoro e affondare la faccia nel profumo del mio ale e anche questo pare del tutto impossibile.

Ora. A me è sempre stato detto che sono una persona con i coglioni, che sono decisa e agguerrita contro i problemi. Io ho sempre pensato di essere incredibilmente vulnerabile e spaventata. Alla fine la vita dimostra che le palle ce le ho… o quanto meno una volta le avevo. Quindi qual è il problema? Perché non riesco a prendere in mano la situazione? È davvero così grande la paura di spezzare il cuore di mia madre? È davvero così grande la responsabilità della sua vecchiaia? Sì. Evidentemente sì. Perché i coglioni li ho solo per me, ma quando ho addosso anche la responsabilità per altra gente non riesco ad essere abbastanza decisa da rischiare il tutto per tutto. Quindi avanti gente, comprate un’impastatrice con cui produrre i biscotti senza glutine, senza uova, senza farina, senza anima, senza che qualcuno sfiori l’impasto con le mani. Avanti, signori, comprate impastatrici, biscotti, cracker, ingozzatevi e non pensate all’unica vita che ci è stata data, in un mondo che sta andando a puttane e che noi sprechiamo per svegliarci alle 5.55 per fare un lavoro che ci fa schifo, per vivere una vita che ci fa schifo, sognando cose che non abbiamo il coraggio di raggiungere, passando la vita a cercare di sottostare alle strutture sociali, ad essere come il mondo ci vorrebbe, a guardare la tv la sera, scuotere la testa leggendo i quotidiani… avanti signori, perché non praticare un suicidio di massa? Si risparmierebbe solo tempo ed il pianeta ce ne sarebbe eternamente grato. 

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