domenica 24 luglio 2022

nuovi stili d’insonnia

Chissà se mi pensi almeno una su diecimila volte in cui ti penso io. 

Chissà se le mie notti insonni di ippopotamo accaldato si incrociano con le tue serate di barbarica baldanza.

Chissà se in un universo parallelo ce l’abbiamo fatta a non sputtanare tutto.

Mi cullo immaginando come sarebbe se in tutto quello che mi sta succedendo ci fossi tu. Mi cullo immaginando come mi avresti dato i bacini sul pancione e come saresti stato in agguato con la mano per sentire gli arroganti calci del cosino che porto dentro. Mi immagino i tuoi sguardi apprensivi, le bestemmie per montare il lettino e mille altre piccole cose che so esattamente sarebbero potute succedere.

Spero davvero che in un universo parallelo stia accadendo…

Perché mi sembra un peccato mortale questa cosa che alle 5 del mattino, vedo la scritta online sotto il tuo nome e non ho il diritto di dirti che ti guardo, che buonanotte ciccio, che mi manchi un sacco, che ho caldo, ho paura e avrei bisogno di sentire la tua voce per ritrovare un po’ di coraggio.

lunedì 27 giugno 2022

68

Oggi è il giorno in cui mia mamma soleva preparare una grande torta con fragole fresche.

Era il giorno in cui si chiamava la Bulgaria e ci mettevamo ad urlare tutti insieme, senza ascoltarci, senza sentirci, ridendo di noi stessi, e brindando con vino freddo. 

La più squillante delle ragazze, la più irriverente del clan, oggi avrebbe compiuto 68 anni e avrebbe risposto al telefono tossendo e battendo le traduzioni con una mano sul suo scassato computer. Avrebbe spietatamente stroncato tutti i nostri auguri, invitandoci ad infilarli nei rispettivi ani e di darle finalmente dei nipoti, invece di cazzeggiare. 

Dove sei adesso che dovresti rompermi le palle da mattina a sera, agitandoti come un gabbiano affamato per ogni minchiata riguardante il bambino? Ti sembra giusto non esserci? Ti sembra giusto lasciarci soli? Chi ci sdrammatizza? Chi ci interrompe gracchiando? Chi ci insulta? Come faccio io a moltiplicarmi, se tu non sei lì a spiegarmela? Passano i mesi, gli anni, eppure io non riesco ancora a capire perché si debbano perdere le persone che servono per acquisirne di inutili. 

Vuoto.

Mi manca la casa.

Mi manca l'odore delle lunghe tende beige, dietro le quali mi piaceva nascondermi da piccola e immaginare di essere invisibile, mentre la casa si riempiva di voci di donne.

Mi manca vedere la casa dal basso, con sguardo di bambina, dove tutte le persone che amo erano vive, giovani e forti. 

Sembra di essere una gallina spennata. 

Senza forze.

Mi mancano le persone che sapevano darmi forza. 

Non voglio diventare grande.


martedì 21 giugno 2022

La Tradisiòn

Correva l'anno 2016, 31 dicembre.

Il giorno dopo partivo per la Georgia.

Avevamo bidonato tutti gli inviti per festeggiare il capodanno e ci aggiravamo per Verona con un'aria di completa estraneità al generalizzato spirito capodannesco. 

In piazza Bra c'era Jerry Calà e io ero infinitamente orgogliosa del fatto che non ce ne fregasse un cazzo di feste, che ci bastavamo, che non serviva niente per essere felici.

Siamo passati in questo baretto dove andavamo spesso, quando eravamo a Verona. Ci siamo fatti un paio di grandi spritz e avevo la netta sensazione di essere completamente isolata dai rumori, dalle risate, dal freddo. Bolla. Bello. 

Torno di nuovo in questo baretto, si chiama la Tradisiòn. Mi fa ridere. Io, che ho sempre sognato di creare delle tradizioni, io che ne ho sempre avuto un disperato bisogno, io che poi arrivo ad oggi che sembro una tillandsia senza radici, senza un punto fermo. Entro. Mi appoggio. Apro il libro. Guardo esattamente quel tavolino e penso che, questa volta, ci porto un altro ragazzo, il ragazzo che ho nella pancia, anche lui nella sua bolla, anche noi isolati dal resto del mondo. Solo noi e un libro e questa perenne sensazione di vivere dietro un vetro. 

Il bar è molto bello, lo consiglio sempre a chi è in centro e vorrebbe piazzarsi in un limbo tra il locale fighetta e la delocalizzazione cinese. 

La barista è molto bella. Le ho chiesto un succo al pomodoro con tabasco rinforzato per mimetizzare l'assenza di vodka e mi sono guadagnata una giornata di gastrite acuta e defecazione infuocata. Mio figlio danzava sulle braci. Faceva caldo e io continuavo a vivere con questa sottilissima nostalgia luminosa. 

Scrivimi, quando arrivi. 



giovedì 9 giugno 2022

occupazione russa everywhere

Tutti, o quasi, mi ridevano in faccia, domandandomi che cazzo di senso abbia andare a fare il ponte in un posto che posso raggiungere in un'ora di macchina, un posto, tra l'altro, da nonnetti, senza nessun tipo di attrazione, tranne quattro pini e qualche casupola.

E più mi ridevano e più io m'impuntavo. 

Armo il mio canarino con un serbatoio pieno d'oro nero e parto.

Ho prenotato e cancellato la prenotazione 3 volte prima di riuscire ad arrivarci. 
Avevo ormai una fitta corrispondenza con l'hotel e mi sembrava quasi un dovere andarci.

Sbarco quindi nella località di F e l'albergo mi accoglie con la scritta CUCINA ANCHE RUSSA... e già sto male e mi domando per quale motivo poteva sembrarmi un dovere andare in un posto del genere.
Penso anche che "audaci i gestori, minchiadigesubambino!"
Penso anche che, probabilmente, il gestore è un morto di figa a cui una qualche scadente matrioska (perché quelle belle di certo non finiscono nella località di F.) ha fatto vedere un pezzettino di organo riproduttivo ed ora si sente in dovere di perorare il putinismo. 
Ho i coglioni in giostra, ma ormai sono lì, ho prenotato, sono stanca, ho bisogno di un bagno, ho bisogno di cibare il mio piccolo parassita e, soprattutto, non posso tornare sui miei passi girando i tacchi e dichiarando il mio disappunto a tutti coloro che mi ridevano in faccia. 

Entro e scopro che la realtà supera la mia malvagia fantasia: l'albergo non è di un coglione filorusso, l'albergo è di proprietà di russi
Una georgiana russofoba, va a farsi un ponte nello sperduto paesino di F. e capita in un albergo di russi.
Mi sembra un ottimo incipit per un noir. 
Mando giù il grumo di merda che mi si è inevitabilmente formato in gola e decido di coesistere con questa situazione surreale... tant'è che il proprietario comincia a fare il lumacone con me.
Deduco quindi che anche da piena si può rimorchiare. La cosa mi fa decisamente ribrezzo, ma i fatti bisogna pur constatarli. Il padre di mio figlio sostiene che devo aver fatto pena al gestore: povera, piccola, sola e incinta, così ha incluso nel pacchetto un po' di flirt per farmi sentire a mio agio. Dubito che un uomo eterosessuale possa disporre di tanta sottigliezza (tranne chiaramente il padre di mio figlio che non perde occasione per farmi sentire come una confezione ammaccata di pelati scontati al discount). 
Il gestore, chiamiamolo Tovarish E, si atteggia un po' da bohémien, con gesti scenici, tutto sorrisi, gentilezza e sguardi languidi. Ci tiene molto a sottolineare che è lui il proprietario della baracca, probabilmente per impressionarmi. Mi costa una fatica infinita cercare di nascondere il mio naturale odio arricchito di schifo per questo suo appiccicoso flirt da romanticone dannato. Sorrido educatamente, taglio le frasi e cerco di minimizzare il contatto. 

Devo però dar da mangiare al botolo. 
Mi siedo.
Decido di fare un passo verso il pacifismo ed esplorare la cucina ANCHE RUSSA.
La proposta gourmet comprende un unico piatto, i pelmeni, che tra l'altro non sono nemmeno russi ma ucraini di origine. Molto presto, scopriremo che anche il vino l'hanno inventato loro. 
I pelmeni sono dei raviolini di pasta sottile ripieni di carne macinata con cipolle ed erbette. Si servono con pepe nero e panna acida in dei piccoli vasetti di terracotta. 
Considerando però che mi trovo in questo albergo con ambizioni raffinate, mi portano i pelmeni su di uno stretto piattino rettangolare, molto fusion e scomodo come un tacco a spillo sullo sterrato. Chiedo di avere del pepe nero, al che Tovarish E mi guarda con quel suo sguardo umido, posizionandosi di tre quarti per maggiore effetto scenico e mi domanda: "o forse un po' di curry?". Ma povero stronzo! Chemminchia c'entra il curry (che probabilmente è una spezia considerata tipicamente russa) con i pelmeni e la panna acida, per l'amor di Cristo? Spalanco i miei grandi occhi e con un sorriso di plastica insisto per avere del pepe nero. Impegnati un po' di più per impressionarmi con proposte esotiche, coglione!

Ora mi propone del vino da accompagnare alla cena. 
Sorrido in silenzio, dando stupidamente per scontato che sia logico non ubriacarsi in gravidanza. 
Abbassa lo sguardo sul loft che si è fatto mio figlio dentro di me, ritorna a penetrarmi con lo sguardo, uscendosene con: "da quando sono arrivato in Italia, ho scoperto che qua le donne bevono tranquillamente anche in gravidanza". Respiro profondamente, ributto indietro nella memoria le mostruose percentuali di sindrome da feto alcolico che arrivavano dagli orfanotrofi russi. Sorrido educatamente e accetto un calice di vino, perché se non avessi bevuto in quel momento, probabilmente avrei dovuto passare all'autolesionismo per sfogare lo sgomento.  QUA! QUA LE DONNE BEVONO TRANQUILLAMENTE! Ma io ti prendo a scarpate in bocca! Non che abbia particolarmente a cuore la moralità delle italiane, per l'amor dell'ostia, ma un così palese rovesciamento dei fatti mi massacra. D'altronde, niente di nuovo: i russi devono averla nel sangue questa capacità di commettere crimini e poi accusarne gli altri. 


Incasso.
Nutro il figlio.
Mi concedo un bicchiere di vino.
Mi ficco sotto la doccia calda. 
Faccio degli esercizi di respirazione nel letto.
Medito. 

Sono riuscita a portarmi a casa i miei quattro giorni senza sclerare. 
Sono riuscita, anzi, a prendermi gioco della situazione.
Mi sono sentita molto adulta.

Adulta, ma rincoglionita. 

Il giorno dopo la partenza, Tovarish E mi telefona comunicandomi che ho lasciato delle mutande in un cassetto.

Voglio sprofondare.

Lo dice con quel suo languido tono di voce, facendomi intendere che ha captato il messaggio. Che poi, fossero chissà che mutande, ma sono dei triangoli di cotone nero. L'unico messaggio che potevano contenere poteva essere tipo "fatti un giro da Intimissimi, perdio". 

Mi propone di vederci a valle per passarmi il prezioso souvenir. 

Vorrei dirgli di buttare via le mutande e cancellare il mio numero, ma visto che sono adulta e superiore a queste sciocchezze, declino educatamente l'invito e gli prometto di andare su io a bere un caffè, prima o poi...

Chiudo e vado in bagno a lavarmi la faccia.

Devo imparare a debellare questo ribrezzo dalla mia personalità, dovrei provare ad incanalare la cosa su un'aracnofobia o qualcosa di simile. 
Vivrei sicuramente meglio.





lunedì 6 giugno 2022

Ferrara di Monte Baldo

E' dai tempi del divorzio che mi prometto di fare un viaggio solitario.
Un viaggio dove mi prendo il tempo per riconnettermi con me stessa, dove non devo condividere lo spazio, il tempo, il ritmo, le preferenze. 
Il mio divorzio è stato molto doloroso (raramente un divorzio è leggero, lo so) e mi ha lasciato questo enorme bisogno di tornare a me stessa, di ricordarmi come ero io, senza questo gigantesco sentimento, di mettere le mie preferenze al primo posto, di leccarmi le ferite. 
E' passato del tempo dal divorzio, ma una serie di peripezie glocal mi avevano impedito di partire da sola. 
Ora, a poco più di quattro mesi dal parto e con le ferite ancora sanguinanti, ho pensato che bisogna farla questa cosa, perché a breve la mia vita sarà rovesciata, ammucchiata e pigiata in un'esistenza confinata tra pannolini, pappette, biberon e sorrisini sdentati. 
Sarebbe stato bello andare in Giappone.
Sarebbe stato bello andare in Messico.
Sarebbe stato bello andare in Iran.
Considerate le mie possibilità, avevo deciso che sarebbe meraviglioso andare anche a Venezia. Vedere finalmente la biblioteca degli armeni, farmi un giro approfondito del ghetto ebraico, girare senza meta, senza scazzi, fermarmi a leggere quando e dove voglio, mangiare quando voglio, dormire quando e quanto voglio. 
Venezia è sfumata. 
O meglio, l'idea del viaggio solitario è sfumata.

E fu così che mi ritrovai a Ferrara di Monte Baldo per il ponte del 2 giugno. 
Ormai accolgo con rassegnazione questa cosa che nulla, ma nulla va come avrei voluto che andasse. Ci si abitua anche alla delusione, no?
Non ricordo come ho trovato questo paesino, ma è da Pasqua che tento di andarci: ad un certo punto è diventata una questione di principio.

Non mi importa delle opinioni. 
Le genti non hanno lo stesso bordello emotivo che ho io.
Le genti non stanno passando per un infinito spettro di sfumature della merda. 
Le genti non capiscono che non voglio lanciare provocazioni, fare la diversa, tirarmela o altro. 

La verità è che sto bene solo da sola. 
Mi basto. 
E poi non sono da sola, perché ho un piccolo cucciolo di cagna che mi bussa da dentro la pancia e mi riempie il cuore di una tenerezza di cui non credevo di essere capace. 

Ho portato con me: quattro libri, un pc pieno di film piratati, della frutta preventivamente disinfettata nel bicarbonato, cuffie e un elenco di itinerari da pensionata. 

C'era un cuculo che, insieme al mio bambino, mi teneva compagnia nelle notti insonni. 

C'erano miliardi di sfumature di verde del bosco di cui mi riempivo gli occhi. Mi manca, mi manca da impazzire quella cosa che mentre bevi il caffè al bar, puoi alzare gli occhi e bere tutto quel verde con lo sguardo. Mi mancava un sacco aspirare con forza l'odore del bosco, guardare le farfalle, fissare un ruscello. 

Mi inoltravo nel bosco con i miei libri e le mie mele e mi scioglievo tra le pagine e la contemplazione del nulla, nel silenzio, nel gioco di raggi che penetrano le foglie, in una luminosa sensazione di esistere, di essere me stessa, senza nessuno, senza speranze, senza futuro, senza passato, solo il mio respiro e il mio cosino che mi fa ciao-ciao nella pancia. 

Terminavo le giornate con un bicchiere di vino rosso, sfogliando libri d'arte di cui abbondava l'albergo.

Mi infilavo nella doccia e poi nelle bianche lenzuola del mio monastico lettino singolo, chiudevo gli occhi e vedevo il verde e sorridevo al buio, abbracciavo il mio bambino e sorseggiavo lentamente la mia felicità di cinica sociopatica. 

Devo riuscire a fuggire più spesso. 
Vorrei riuscire a fuggire per sempre. 

 


martedì 31 maggio 2022

Spalanchiamo le porte a nuovi sensi di colpa!


irresponsabile

incosciente

stupida

ti comporti come se fosse il settimo figlio

ti comporti come se non l'avessi sognato per anni

ti comporti come se non stessi aspettando un figlio

non c'è bisogno di fare la figa 


La verità è che non ho mai sopportato le tipe che fanno della propria gravidanza il centro del mondo. 

E' vero, spesso sono molto stanca, ma mi vergogno a fare i pisolini, perché sembra di essere una fannullona. 

E' vero, faccio molta fatica a lavorare e passare ore in macchina, ma non smetto perché non posso permettermelo e non voglio pesare su chi mi sta intorno.

E' vero, spesso mangio meno di quello che dovrei e spesso mangio cose che non fanno bene, perché non ho tempo o energie per prepararmi i pasti.

E' vero, anch'io pensavo che quando sarei finalmente rimasta incinta, tutta la mia vita sarebbe stata concentrata sul cosino, ma non è andata così. La mia vita è stata oggetto di un rovesciamento completo, un po' per questo lieto evento, un po' per il cambio del lavoro, un po' per la mia vita privata andata affanculo, un po' perché sono rimasta di nuovo senza una casa. Se fossi rimasta incinta in una situazione leggermente più equilibrata, forse mi sarei concentrata un po' di più sulla maternità. Forse è perché sono sempre stata bene e il mio cosino non mi ha mai dato nessun fastidio, tranne succhiarmi le energie, quindi non ho mai avuto paura, paranoie o disturbi fisici e quindi lo cago meno anche per questo.

Non lo so.

E' inutile stare qua a giustificarmi.

Passo anche 14 ore fuori casa senza mai riposare, mangio di merda, nei primi mesi ho saltuariamente fumato e bevuto, non ascolto Mozart su base quotidiana, non faccio attività fisica, non passeggio, non mi massaggio il perineo, non uso creme anti smagliature, non sempre bevo sufficiente acqua, dormo poco e mi appoggio pure sui water nei bagni pubblici (ormai l'equilibrio si è fottuto) senza disinfettarli preventivamente.

Non è una cosa di cui mi vanto, so bene che è sbagliato, ma, purtroppo, non ho mai messo me stessa prima del resto e, per il momento, non riesco a capire che non si tratta più di me, ma del mio cosino tutto tondo e che facendo un torto a me stessa, sto facendo un torto a lui.

Non sono stata cresciuta per diventare una principessa e non so comportarmi come tale. Ho sempre pensato fosse una cosa positiva, ma ora penso che l'egoismo sia molto più sano di questo mio non voler mai dare fastidio e non voler chiedere aiuto. 

Nel dubbio, ho fatto spazio per un altro scompartimento di mea culpa, adelante!

giovedì 26 maggio 2022

s-formazione

Sono nota per essere frivola, superficiale, rimbambita e stramba. E' una cosa che fa simpatia, ma non quando scavalli i 30 e stai per dare alla luce un bambino.

Conoscendomi bene, però, ho deciso che questa cosa della maternità non la potevo prendere sottogamba. Mi sono quindi iscritta a tre diversi corsi preparto, ancora quando il botolo era delle dimensioni di un dattero. 

Il primo di questi corsi si tiene nel cortile della biblioteca ed è condotto da una rinomatissima ostetrica di Verona che collabora con il comune da decine di anni, lavora con la più rinomata boutique delle madri, dove ogni servizio pre e post natale costa come uno dei miei malandati reni e vanta un codazzo di mamme in fibrillazione.  

Tutto idilliaco!

Sennonché...

La biblioteca si trova in una depressa località rurale veronese, nei pressi del mio grigio ufficio metalmeccanico.

Il cortile della biblioteca è popolato da una quantità abominevole di abominevoli zanzare e moscerini. C'è da dire che, da quando ho saputo dell'esistenza del botolo, ho azzerato qualsiasi agente chimico sulla mia pelle. Niente più smalti, oli essenziali, tinte, creme o pomate. Figurarsi se mi spalmo di Vape che già odiavo da sana (mi piace un sacco definirmi sana per indicare il periodo prima della gravidanza). Le lezioni, che si tengono al tramonto, sono quindi caratterizzate da una costante bestemmia interiore e da numerosi schiaffetti che le sensibili future mamme si danno su avambracci, colli e gambe inflaccidite. 

La rinomatissima ostetrica si presenta con l'espressione della Signorina Rottermaier, brizzolata, severa, con una bocca piccola dagli angoli discendenti, piccoli denti aguzzi, piccoli occhi penetranti dietro una montatura rosso sangue. Si trascina dietro una bambola che tiene per un piede e che usa come pungiball, senza troppo curarsi della sensibilità delle future mamme. 

Il corso viene condotto in dialetto e, pochi minuti dopo, la rinomatissima ostetrica dimostra una totale assenza di loquela. Ripete gli stessi concetti per almeno cinque volte, dando sfogo a sempre più alti virtuosismi di analfabetismo. Le frasi durano per dei momenti interminabili e sono popolate da intercalari e parassiti verbali sotto forma di muggiti e altre locuzioni di dubbia provenienza.

Vista la noia dell'esposizione, passo il tempo ad osservare i compagni: le mamme hanno tutte la stessa espressione di commossa preoccupazione. Alcune, ogni tanto, escono una lacrima a cazzo. Altre volte annuiscono per dimostrare che sono sul pezzo. Spesso, quando si parla del ruolo del padre, danno degli amorevoli scappellotti ai mariti, indicando l'ostetrica con il ditino come per dire "ascolta bene, asino!". 

I concetti più scontati, come "non lasciare il bambino incustodito sul fasciatoio", scatenano una tempesta ormonale di massa. 

Il gruppo delle sensibili future mamme si compone di signore autoctone che si trascinano dietro i propri mariti dalle espressioni assenti. Le mamme si dispongono sulle sedie, mentre i papà vengono accomodati per terra, su dei teli. L'immagine è straziante. Soprattutto, quando le mamme accarezzano le teste ai papà: viene da fondare un MeToo degli uomini. E' anche vero che i papà non sembrano molto a disagio in questa posizione; c'è anzi una sacra rassegnazione ed assenza di volontà che sfiora il buddismo. Se le mamme all'ultimo mese di gravidanza hanno tutti i diritti di essere brutte, gonfie e sudate, non capisco perché anche i padri si presentino in queste condizioni asessuate e sboldre. L'unica funzione vitale, oltre agli schiaffetti anti-zanzara, consiste nel grattarsi le piante dei piedi, evidentemente stanchi dopo una calda giornata.

Il tutto mi diverte un sacco, ma mi mette anche una grande tristezza.

Il posto, le persone, i discorsi, i gesti, le mimiche mi demoralizzano, mi devastano l'entusiasmo e mi fanno venire paura di essere o diventare così.

Non voglio essere così.

Non voglio arrivare al punto di essere affascinata da persone ignoranti. 

Non voglio avere paura della mia ombra.

Non voglio fare della mia maternità una tragica missione. 

Non voglio.





sabato 21 maggio 2022

disparità di trattamento

E' ancora troppo presto per capire cosa può essermi successo.

Ci penso raramente, ma credo che tutto questo sia potuto succedere perché, per una volta, dopo tanti anni, ho avuto di fronte una persona motivata. E' ridicolo, quanto sia importante, anche per una cinica troia come me, vedere dall'altra parte una persona che ti stimola, che non deve essere trascinata, pregata, supplicata, minacciata per prendere decisioni che dovrebbero essere belle e piene di speranze. 

Era bello avere accanto qualcuno che proponeva per primo, prendeva l'iniziativa, ci teneva, si sbatteva. 

Io ero stremata dalla sensazione di "prima faccio la legna e poi, se ho tempo, mi cago la nostra vita insieme". E quindi mi sono lasciata guidare. Per la prima volta nella vita da adulta, sono stata presa per mano e accompagnata, aiutata, accudita. Per la prima volta, mi sono resa conto che non era una cosa brutta o vergognosa, voler avere una vita e non essere perennemente sospesa tra tre differenti realtà. Per la prima volta, ero io la priorità e dopo arrivava il resto. 

Era una sensazione bellissima. Mi sembrava di avere finalmente ossigeno, di essere finalmente capita, di essere finalmente amata totalmente, non part-time. Mi sembrava di essere voluta, sembrava che qualcuno, per la prima volta, volesse ridarmi la sensazione di casa, di avere un posto al mondo. Finalmente non ero sempre sola, non dovevo pensare a tutto io, sia per me che per due. Finalmente, avevo un vero e solido appoggio. Non dovevo più chiedere, dovevo solo rilassarmi e camminare, accogliere i cambiamenti di cui avevo un disperato bisogno, fare progetti di cui avevo un disperato bisogno, smettere di vergognarmi di voler fare progetti, smettere di sentirmi mediocre perché volevo una famiglia. 

Era l'esatto contrario di quello che avevo vissuto nei precedenti otto anni. 

Ed era quello di cui avevo bisogno in quel momento. Avevo bisogno dell'esatto contrario. 

Poteva andare male, poteva andare bene, di certo non avrei pensato che sarebbe andata così...

Ma se non mi fossi lanciata, probabilmente mi sarei suicidata o forse sarei finita in una fitta depressione a sfondo alcolico, forse sarei tornata indietro per scoprire che non poteva cambiare nulla, forse sarei tornata da mia madre. 

E' troppo presto per capire se ho fatto bene o male e sicuramente nulla è andato secondo i miei piani e  desideri. Purtroppo, la buona volontà non basta: serve anche l'amore. Così come, l'amore non basta: serve anche della buona volontà. Evidentemente non si possono avere entrambe le cose, ma almeno so di averle provate entrambe. 

Ora ho davanti una nuova equazione e, per quanto "questa cosa (che sarebbe mio figlio) ci allontana ulteriormente", non mi pento di aver sputtanato e incasinato tutta la mia esistenza in questo modo, di essermi legata mani e piedi, di essere diventata ostaggio di un uomo, di una vita che non avrei voluto. Me la farò andare bene, me la reinventerò un'altra volta, diventerò grande e forte ora, che ho capito che non esiste uomo al mondo che sia in grado di capirmi. Chissà... magari il mio botolo 


venerdì 20 maggio 2022

come tornare in una casa dove nessuno ti aspetta

 C'è questa netta linea di demarcazione: il colore del cemento cambia al passaggio da una regione all'altra. 

Le sgangherate ruote del mio canarino oltrepassano questa linea e improvvisamente sono di nuovo lì: su quella strada. Mi avvicino alla città dove ho vissuto per dieci anni, ai paesi che ho frequentato per quasi venti... svincoli, nomi di paesi, il profilo delle montagne che sembrano essere dei parenti da quanto li ricordo bene, le case delle persone che ho amato, con cui ho riso, mangiato, dormito, pianto e condiviso notti ebbre. 
Sale, per forza, la sensazione di tornare a casa, nessun ricordo concreto, solo una sensazione tenera. 
Ma è una casa dove nessuno mi aspetta, dove non sono mai stata realmente accolta, dove non mi sono mai tolta le scarpe. 
Ho sognato che questo posto diventasse casa mia, ho sognato di guardare le montagne ogni giorno al risveglio, osservare il sole scomparire dietro le cime, il graduale cambio di colori, ho sognato di imparare a fare i tornanti senza sudare, ho imparato a capire e distinguere i dialetti, ho imparato ad amare la cucina, i modi bruschi, ma non sono mai riuscita a sentirmi a casa, nessuno ha mai voluto farmi sentire a casa. Ero la benvenuta, ma ero un'estranea. 
Sale, per forza, la malinconica sensazione di essere un cane randagio, di essere amata, ma non abbastanza da essere accolta. 

The child who is not embraced by the village will burn it down to feel its warmth

giovedì 19 maggio 2022

Ho voluto la mia solitudine

sono senza amore, mentre, barbaro

o miseramente borghese, il mondo è pieno, 

pieno d'amore...

e sono qui solo come un animale 

senza nome: da nulla consacrato, 

non appartenente a nessuno, 

libero di una libertà che mi ha massacrato.



ppp

martedì 17 maggio 2022

LB

Arriva la madre e porta le lettere della nonna.
E' l'ultima persona al mondo che mi scrive le lettere a mano, su fogli strappati dai nostri quaderni di scuola non finiti. 
E' uno dei miei momenti preferiti: metterci lì in tre a leggere le lettere ad alta voce e rotolarci dalle risate.
Vorrei poter tradurre le sue lettere, ma temo che sarei incapace di trasmetterne lo stile.
Si compongono di brevi frasi di senso compiuto, ma senza un nesso tra di loro. Una specie di Virginia Woolf sintetica. Un flusso di coscienza saltellante. Un unico paragrafo contiene notizie sui vicini di casa, ricordi di settant'anni fa, notizie dal mondo dello spettacolo, consigli pratici sulla gestione delle nostre sgangherate vite e barzellette sugli ebrei che fanno ridere solo lei. 
E' tutt'ora convinta che le sue lettere rimangano tra lei e il mittente, quindi non sa che io e mio fratello le confrontiamo per fare a gara di chi riceve gossip più scottanti e commenti più caustici. 
C'era solo una differenza tra le due lettere, questa volta.
Quella di mio fratello terminava con: probabilmente è l'ultima lettera che ti mando.
La straziante essenza di questa donna si riassume nel suo stile epistolare: didascalico, scarno, tagliente, buffo, comico e drammatico allo stesso tempo.

Ha deciso di morire, con limpida determinazione. L'ha pure messo per iscritto.

Mi lascia all'oscuro perché, adesso, per la prima volta in 35 anni, io sono quella da proteggere. 

Credevo fosse immortale, ma ieri, per la prima volta, ho avuto paura di non ricevere più le sue lettere e mi sono chiesta se esista qualcosa al mondo di più prezioso del tempo che posso ancora passare con lei. 

Odio dover lavorare, non perché sono pigra, ma perché il lavoro mi sta rubando la vita, il tempo per curare chi amo. 


lunedì 16 maggio 2022

Il sale della vita

 Si ride. Le risate salvano la mia famiglia da tempo immemore. Mi piace pensare che, anche i miei antenati si sganasciavano in Persia. Ridiamo in faccia alla morte, alle guerre, alla fame, alla nostalgia, alle assenze. Grasse, liberatorie, ciniche, taglienti risate. Ci amiamo insultandoci e prendendoci in giro. Non tutti lo capiscono. Ferisco un sacco di persone con la mia strana maniera di amarle. Non so esprimere l’affetto, se non attraverso gli insulti. Mi sento amata, quando presa per il culo e mi sento a disagio, quando mi si elogia. Siamo sempre stati parchi con la verbalizzazione. Sembra quasi di aver paura di dire “darei tutto per te”, sembra che qualcosa possa rompersi, se lo si dice. E le poche volte che si dicono cose belle, queste risultano scarne e gravi. Lo si fa solo in occasioni tragiche. Siamo una tribù di coriacei, le robe da froci non ci appartengono, eppure siamo mille volte più froci, fragili, vulnerabili e sanguinanti di quelli che sanno ammettere le proprie debolezze e i propri amori. Preferisco un morso ad un bacio. Preferisco un abbraccio al limite della frattura di costole, ad un ti amo. È sbagliato. Non deve essere così, non ne vado orgogliosa. Traggo la gente in inganno. Pensano che io non abbia bisogno di protezione, affetto e cura. Respingo l’affetto e poi ne ho un bisogno atroce. Ci vorrebbe un Nobel in strizzatura cerebrale per sciogliere i miei nodi. O forse mi sembra solo di essere complicata. Probabilmente sono semplicemente una ragazzina mediocre con dei traumi mediocri e con limitate risorse emotive per guarirli.

La mia tribù mi manca da strapparmi la carne e non sono capace di dirlo. Sono solo capace di dire “ma perché non ti anneghi nel cesso, perdio?”
Morirò senza aver detto quanto ho amato. E ho questa paura enorme di essere l’ultima a morire. La sento come una maledizione. Gesoo mi punirà per le mie spine e mi costringerà a perdere tutti, prima di chiamarmi a sé.
Il sale della vita, eh?

venerdì 13 maggio 2022

emotional slackline

Io e il mio amico Paolone abbiamo coniato la nuova espressione EMOTIONAL SLACKLINE.

Quella roba dove continui a barcamenarti per non cadere, sbagli di un millimetro, cadi, ti fai del male o forse no, ma prendi comunque paura, poi ricominci, ricadi, ti fai del male, ti rialzi, ricadi, non ti fai del male, ma ti girano i coglioni per il fallimento, riesci a non cadere per un sacco di tempo, prendi coraggio, respiri... e cadi.
ad un certo punto ti rompi i coglioni e vai al bar a bere una birra.

così, una superficiale giustificazione dell'inettitudine come scelta di vita.



giovedì 12 maggio 2022

Vergangenheitsbewältigung

prendere ogni foto

tutti i selfie dal water, dal furgone, dall'ufficio

tutte le facce sceme

sorrisi

bacini schioccanti

parole che comprendevano solo due persone al mondo

inflessioni

storpiature del tedesco

storpiature dell'italiano

storpiature dell'inglese

storpiature del georgiano

ogni battuta

ogni "non bevi il caffè dopocena?"

ogni furtiva carezza al panettoncino

ogni incastro fisico, spirituale, oculare

ogni canzone, articolo, libro, vignetta, meme, mostra, concerto, sentiero percorso

ogni silenzio, scazzo, bestemmia, scornata

ogni risata del mattino

ogni lista dell'oltreuomo, carbonara, tg la7, birrette, tovagliette verdi, "alza la musica valà"

ogni 7:14 del mattino

prendere tutto questo, insieme alla valanga di cose non dette, offese, ferite, lacrime.

sistemare tutto con la meticolosità di Marie Kondo.

ciascuna cianfrusaglia in un adeguato contenitore.

riordinare

dipanare la nebbia

e superare.

non buttare via

non dimenticare

non rinnegare

ma superare

andare avanti senza questo struggente bisogno di correre a condividere ogni minchiata

andare avanti senza questa nostalgia

andare avanti senza rabbia, delusione, tristezza

andare avanti senza più aspettarsi alcun colpo di scena

superare

fare pace

rassegnarsi

insomma, chiamala come vuoi, ma fa qualcosa per l'amor del cazzo!


mercoledì 11 maggio 2022

sta su, bella fiera!

E' passato un anno dal mio ultimo triste viaggio a casa. 

Ho ancora in mente il momento in cui siamo salite da mia nonna per dirle che la sua bambina è morta.  

Triste, ma anche molto bello. La condivisione del dolore riempie di forza, di senso di responsabilità: sapevo che non potevo crollare, sapevo che dovevo farle ridere, sapevo che anche solo la mia presenza era sufficiente per tenere insieme i pezzi.

Mi manca un sacco la sensazione di interezza che avverto quando sono a casa.

Sono andata via 20 anni fa e tutt'ora quella è la mia casa e tutt'ora penso che quello sia il mio posto e tutt'ora soffro per la lontananza, ogni giorno. 

Nessuno dei miei sogni si è realizzato. 

Nemmeno quello di trovare un meccanismo per riuscire a vivere un po' qua e un po' là, senza dover per forza rinunciare a una parte della mia esistenza. 

Ora sono completamente bloccata. 

Ora un estraneo può decidere se andrò o meno a casa, quando lo farò e per quanto tempo.

E' orribile. 

Mi addormento tutte le sere, avvolgendomi attorno alla mia pancia e immaginandomi a casa. In una casa dove mi vogliono bene, dove mi aspettano, dove vado bene così come sono, dove non mi sento fuori luogo. 

Chissà se riuscirò a reggere senza impazzire?

martedì 10 maggio 2022

superare l'imbarazzo

situazione:

ora di pranzo, fame colossale.

Ho il mio zainetto con dentro il mio contenitorino con dentro del pollo che sto mangiando da 5 giorni ormai.

All'ora di pranzo, generalmente, il mio ufficio si svuota e io resto in perfetta solitudine a guardare propaganda live del venerdì precedente (ormai è come una serie, una puntata di Propaganda mi dura una settimana di pause pranzo). Idillio + possibilità di uscire mezz'ora in anticipo + risparmio materiale e spirituale nell'evitare i pranzi con i colleghi che mi svuotano tasche e spirito. 

oggi: l'archistar milanese, con un culo che cerco di non guardare perché non vorrei che, per errore, questa terribile visione attraversasse la placenta ed arrivasse all'ancora troppo fragile psiche di mio figlio (ché, lasciatemelo dire e insultatemi per il body shaming, ma cazzo: la sartoria seriale di cui il mondo occidentale è ampiamente fornito, permette di nascondere o mimetizzare o quanto meno non sottolineare certe parti del corpo che renderebbero tristi i cultori del bello di qualsiasi epoca ed appartenenza. Quel culo largo, basso e piatto che ti fa venire voglia di cavarti gli occhi, per non vedere), resta inchiodata alla sua scrivania in attesa di un altro suo simile con cui aveva un "working lunch" e che, da uomo non soggetto ai manierismi del sessismo e buona educazione, arriva con un'ora di ritardo. Io, nel mentre, sto disintegrandomi le pareti intestinali per la fame e l'angoscia di non dar da mangiare al botolo. 

Dilemma: io odio mangiare di fronte a persone che non mangiano. Soprattutto se si tratta di pollo al forno per il quale manco mi sono portata le posate, sapendo che avrei inscenato il little Neanderthal a Trevenz. Non posso proporle di condividere il pranzo per ovvie ragioni, ma non posso nemmeno non mangiare e non ho più il tempo di prendere la macchina e appartarmi in un campo vicino in compagnia di nutrie autoctone. Tra 20 minuti arriva una mia riunione, lunga e noiosa, durante la quale mi sarà estremamente difficile consumare il mio pollo di 5 giorni fa. 

Devasto morale.

Vado in bagno, mi sciacquo la faccia, mi guardo allo specchio e mi dico: sei una madre ora, sei responsabile della corretta crescita di tuo figlio che stai già comunque compromettendo, dandogli da mangiare solo pollo per giorni, se poi lo privi anche di quello, sta certa che uscirà un piccolo nigga incazzato e con un'atavica voglia di pollo fritto. 

Torno.

Metto le cuffie.

Attacco Propoganda.

Mangio il pollo.

Con le mani.

Io!

La piccola, fragile e tenera panzerotta, afferro il pollo con le mani e lo divoro senza battere ciglio, aiutandomi con le dita ad estrarre le fibre dalle fughe tra i denti. 

E' proprio vero che la maternità ci cambia, perdincibacco. Solo che, nel mio caso, è evidente che il cambiamento è decisamente peggiorativo.

amen. 

lunedì 9 maggio 2022

l'anti-healing

ho paura che il tempo guarisca la ferita

non voglio imparare a valutare solo per le azioni

non voglio diventare efficiente 

ho paura di diventare sobria 
ho paura di diventare matura
ho paura di diventare pragmatica

ho paura di smettere di vedere dentro le persone.

Non voglio dover frequentare persone che non stimo. 

Non voglio fare un lavoro che non mi interessa.

Non voglio imparare a semplificare.
Non voglio vivere in superficie.

Voglio chiudermi in una capanna piena di vino, libri e dischi. 



venerdì 6 maggio 2022

il senso di vergogna mi viene a trovare nei sogni.

l'inconscio mi martella il cervello ripetendomi, in salse nuove ogni notte, che ho tradito, che ho fatto male, ho fatto del male, che ho fatto qualcosa di sbagliato, ho fatto un torto a me stessa.

con la luce del giorno la vergogna scompare e lascia spazio alla razionale rabbia, dove: no, cazzo non ho sbagliato, ho scelto di avere una vita e non passare la mia esistenza nell'attesa e nella sottomissione ai capricci altrui. 

poi mi addormento e, quasi ogni notte, provo vergogna. 

giovedì 5 maggio 2022

Correva l'anno 2013, 31 dicembre.

Ricordo esattamente la mia postazione in quel grigio ufficio di San Martino Buon Albergo, situato di fronte al cimitero.

Avevo deciso di passare il capodanno da sola, immersa nella vasca da bagno, con champagne, hashish e lenticchie in scatola. 

L'ufficio non era esattamente predisposto per lavorare, quel giorno. Eravamo tutti innamorati del nostro lavoro, sapevamo, in cuor nostro, che da quel grigio e squallido ufficetto fronte cimitero, stavamo salvando delle vite e ne andavamo orgogliosi. L'ultimo giorno dell'anno però, nessuno aveva voglia di salvare il mondo, bisognava solo far passare quelle 8 ore per poi disperdersi nella nebbia padana.

Fu lì che, chiacchierando di chiacchiericci femminili, saltò fuori che ero innamorata di un ragazzo che non si capiva cosa volesse. E' ridicolo, ma questa cosa di non capire che minchia volesse me la sono portata avanti per anni e non più tardi di stamattina in macchina, me lo sono chiesto di nuovo, ma questa è un'altra storia. Feci dunque il mio coming out sul fatto che c'era questo ragazzo di cui ero innamorata da tempo, con cui passavo ore al telefono, con cui mi scambiavo pungenti messaggini irriverenti, con cui scambiavo opinioni e recensioni su qualsiasi aspetto della vita, che veniva a trovarmi a sorpresa, che dominava i miei sogni erotici, che sognavo di vedere vecchio e brontolante accanto a me, che non mi annoiava mai, che sapevo essere impossibile e irraggiungibile, ma che non volevo smettere di amare, perché amarlo mi faceva stare bene, la consapevolezza della sua esistenza al mondo mi bastava per essere felice (non sempre, ma quasi). Mi rendevo conto che questa cosa allo stil novo cozzava con la mia cinica personalità, ma oh...

A quel punto, dopo il mio timido sproloquio, Anna mi mandò questa poesia di Beckett che continua a spiazzarmi a distanza di anni e ogni volta, ogni volta, ogni volta, mi si spezza il cuore. Avevo anche tentato di mandarla al destinatario dei miei amorosi sospiri, ma, come sempre, nella sua totale incapacità e annientante imbarazzo di fronte allo scontro diretto con le emozioni, mi rispondeva con un emoji. Io ridevo. Ridevo della sua alessitimia, ridevo dell'enormità del mio amore, ridevo del nostro infantile rifiuto di ammettere quanto tenevamo alla nostra sgangherata storia. 

E' passato dall'essere l'oggetto dei miei desideri ad essere il mio ragazzo, ad essere il mio quasi marito e quasi padre dei miei figli ad essere un ricordo, eppure questa poesia continua a spiazzarmi e spezzarmi il cuore, ogni cazzo di volta. 



Nuovamente dicendo

se non m'insegni non imparerò
nuovamente dicendo ecco vi è un'ultima volta
persino per le ultime volte ultime volte per mendicare
ultime volte per amare
per sapere di non sapere fingere
un'ultima anche per le ultime volte
di dire se non m'ami
non sarò amato se non amo te
non amerò
la zangola di parole stantie nuovamente nel cuore
amore amore amore
tonfo del vecchio pistone a pestare
l'inalterabile
siero di parole
Nuovamente atterrito
di non amare
di amare e non te
di essere amato e non da te
di sapere di non sapere fingere
fingere
io e tutti quegli altri 
che ti ameranno
se ti amano
sempre che ti amino.

Samuel Beckett

mercoledì 4 maggio 2022

Sesso, consolazione della miseria!

Sesso, consolazione della miseria!


La puttana è una regina, il suo trono

è un rudere, la sua terra un pezzo

di merdoso prato, il suo scettro

una borsetta di vernice rossa:

abbaia nella notte, sporca e feroce

come un’antica madre: difende

il suo possesso e la sua vita.

I magnaccia, attorno, a frotte,

gonfi e sbattuti, coi loro baffi

brindisini o slavi, sono

capi, reggenti: combinano

nel buio, i loro affari di cento lire,

ammiccando in silenzio, scambiandosi

parole d’ordine: il mondo, escluso, tace

intorno a loro, che se ne sono esclusi,

silenziose carogne di rapaci.

Ma nei rifiuti del mondo, nasce

un nuovo mondo: nascono leggi nuove

dove non c’è più legge; nasce un nuovo

onore dove onore è il disonore...

Nascono potenze e nobiltà,

feroci, nei mucchi di tuguri,

nei luoghi sconfinati dove credi

che la città finisca, e dove invece

ricomincia, nemica, ricomincia

per migliaia di volte, con ponti

e labirinti, cantieri e sterri,

dietro mareggiate di grattacieli,

che coprono interi orizzonti.

Nella facilità dell’amore

il miserabile si sente uomo:

fonda la fiducia nella vita, fino

a disprezzare chi ha altra vita.

I figli si gettano all’avventura

sicuri d’essere in un mondo

che di loro, del loro sesso, ha paura.

La loro pietà è nell’essere spietati,

la loro forza nella leggerezza,

la loro speranza nel non avere speranza.

martedì 3 maggio 2022

Bella Achatovna Achmadulina

L'addio


e in ultimo ti dirò:
addio, non vincolarti ad amare.
Sto impazzendo. Od elevandomi
ad un alto livello di follia. Come hai amato? Ti sei bagnato le labbra
con la perdizione. Non importa.
Come hai amato? Mandando in perdizione,
ma in una perdizione così maldestra. Oh, crudeltà del fallimento… non avrai
perdono. Il corpo è vivo,
e vaga, vede il mondo intero,
ma il mio corpo si è svuotato. La tempia ancora opera
una funzione ridotta. Ma mi sono cadute le braccia,
e in piccoli stormi sghembi,

scompaiono odori e suoni.

Прощание

А напоследок я скажу:
прощай, любить не обязуйся.
С ума схожу. Иль восхожу
к высокой степени безумства.Как ты любил? Ты пригубил
погибели. Не в этом дело.
Как ты любил? Ты погубил,
но погубил так неумело.Жестокость промаха… О, нет
тебе прощенья. Живо тело,
и бродит, видит белый свет,
но тело мое опустело.Работу малую висок
еще вершит. Но пали руки,
и стайкою, наискосок,
уходят запахи и звуки.

1960 г.

lunedì 2 maggio 2022

лучше ужасный конец, чем ужас без конца

abituarsi alla fine.

abituarsi, alla fine.


Quanto ci vorrà ancora, prima che cada in pezzi? 

Si riuscirà a smembrare, immobilizzare il male?

E poi, è davvero il male? 

E' l'unico male?

Sono cresciuta a pane e odio nei confronti della Russia, ma l'esasperazione degli ultimi due mesi sta dando la nausea persino a me.

La facile, elementare, bidimensionale creazione del nemico comune. 

L'ipocrisia del buonismo.

Lo schifo di cui è ricoperto il concetto di accoglienza.

La falsità in cui annegano i discorsi, gli appelli, le bandierine.

Sono schifata da tutti: dai pacifisti, dagli economisti, dai destri e dai sinistri. 

Per un sacco di tempo ho pensato che il problema fosse la Russia o Putin o, in generale, quel modo di pensare ed agire con arroganza e crudeltà. Ora, credo che almeno loro sono onesti nel loro essere figli di puttana e mi accorgo di voler dare fuoco a tutto il potere, tutti quelli che imbracciano le armi, tutti quelli che le fanno imbracciare, quelli che le costruiscono e le vendono, quelli che parlano, scrivono, fanno visite, promettono o gridano parole di pace e solidarietà. 

L'ipocrisia del potere mi fa venire il vomito.

Era fin troppo facile crescere a pane e odio contro la Russia: come fai a spiegare ad un bambino che invece deve odiare il potere come concetto? 

Ciao figlio, ti darò solo pane. L'odio lo imparerai da solo.


venerdì 29 aprile 2022

While we were fearing it, it came

 ciò che temevo venne,

ma meno spaventoso,

perché il lungo timore 

l'aveva quasi abbellito.

Ci si abitua all'angoscia,

alla disperazione.

peggio saper che viene

che saperla presente.

Chi indossa la sua pena

il mattino che è nuova

soffre più che a portarla 

un'intera esistenza


While we were fearing it, it came -
But came with less of fear
Because that fearing it so long
Had almost made it fair -

There is a Fitting - a Dismay -
A Fitting - a Despair
'Tis harder knowing it is Due
Than knowing it is Here.

They Trying on the Utmost
The Morning it is new
Is Terribler than wearing it
A whole existence through

giovedì 28 aprile 2022

si sta facendo sempre più tardi

Non ho voluto nulla di quello che mi sta succedendo.

Perdo il centro continuamente. Mi arrabbio con me stessa, con il mondo, il fato, l'universo, ma principalmente con me stessa: perché il male che si vuole non duole, mentre a me duole da morire. 

Mi arrabbio, perché la vita sembra intenzionata a rovesciare i miei sogni e farmeli vivere in forma di incubi. 

Davvero, la mia vita sembra una barzelletta che non fa ridere. 

Ma poi ritrovo il centro, guardo il cielo, le foglie, respiro e sento il mio piccolo centro che, in queste settimane, ha imparato a sbadigliare. Ho un piccolo centro nella pancia che se la sbadiglia, mentre io battaglio contro me stessa. Mi esplode il cuore al pensiero che ha le ciglia, fa le smorfie, dorme o agita le braccia e io sono la sua casa. La sua casa incasinata, arrabbiata, ancora molto adolescente, la sua casa triste, la sua casa abbandonata...

e allora mangio un kiwi e mi abbraccio da sola. Occupo uno spazio piccolissimo nel mondo, ma in questo spazio piccolissimo siamo in due e io sono la casa di uno che non ha chiesto di esistere e io non ho chiesto di essere una casa, ma eccoci qua: siamo io e il mio cosino sbadigliante e nessun altro al mondo. E' un centro devastato, ma è il mio centro e, a questo punto, è l'unica casa che mi è rimasta. 

La mia casa è un bambino di cui io sono la casa.


mercoledì 27 aprile 2022

high on hormones and chocolate.

La somiglianza tra la fame chimica e la gravidanza mi fa sentire su un terreno rassicurante e familiare. 

Coltivo con allegria e disinvoltura il mio succoso strato lipidico.


D'altronde, è l'unica gioia carnale rimastami. 


martedì 26 aprile 2022

tutte le notti

 a volte la nostalgia mi assale come un animale affamato e mi divora gli organi. 

sono sempre stata emotivamente instabile, figurarsi ora. 
c'era chi diceva "mi commuovo anche a guardare un panino ormai" e io, con occhi a cuore che nascondevo pazientemente, pensavo: "vecchio rammollito".
Ora anch'io mi commuovo a guardare anche un panino, un po' perché ho sempre fame, un po' perché mi basta pensare a pane-speck-formaggio e ad uno spolverino verde shock per volermi sdraiare sull'asfalto e rotolarmi nella polvere bagnata, ululando di straziante tristezza.
Ecco. 
Ci si riduce così ad agire col cervello, ad avere la presunzione di poter impostare la propria vita su basi razionali. Bisogna metterselo bene in testa, per il resto dei miei giorni. 
Ci si riduce a cantare stupide ballate d'amore in macchina, a squarciagola, con voce spezzata, che ti sognooo tutte le nottiiii... sentendomi completamente stupida e sola. Sola con il mio bambino che, poverino, deve essere spaventato a morte da questo turbinio psicosomatico che si sta scatenando nel mio essere.
D'altra parte, mi sono già messa via tutti i miei futuri e correnti fallimenti genitoriali: ho tutte le carte in regola per fare il pieno di errori più o meno fatali, come ad esempio non potergli assicurare un minimo di famiglia che si possa chiamare tale. 
Alla fine comincia a bollirmi il cervello e butto tutto in vacca convincendomi, a spese di sanguinose ferite personali, che l'amore possa essere sufficiente per sopperire a tutto il resto delle cose che non potrò dargli. 

martedì 5 aprile 2022

non si aspetta chi non può tornare

 “E per addormentarmi penso che ti scriverei che non sapevo che il tempo non aspetta, davvero non lo sapevo, non si pensa mai che il tempo è fatto di gocce, e basta una goccia in più perché il liquido si sparga a terra e si allarghi a macchia e si perda. E ti direi che amo, che amo ancora, anche se i sensi sembrano stanchi, perché lo sono, e quel tempo che era così rapido e impaziente, ora è lunghissimo da passare in certe ore del pomeriggio, soprattutto sul fare dell’inverno, quando se ne va l’equinozio e la sera cala a tradimento e le luci che non aspettavi si accendono nel villaggio. (…) E ti direi di altri fiumi che abbiamo guardato insieme pensando che essi scorressero soli, senza accorgerci che noi scorrevamo con loro. E ti direi che ti aspetto, anche se non si aspetta chi non può tornare, e per tornare ad essere ciò che fu dovrebbe essere ciò che fu, e questo è impossibile”.

martedì 8 marzo 2022

08.03.2022

c'è dignità nel vittimismo?

vediamo di trovarne.
Ho la testa alta, alta, alta più alta di tutti gli alberi. 
Ho la testa alta di una ragazza che diventerà madre.
Ho la testa alta di una figlia disgraziata.
Ho la testa alta di chi apre il cuore per farci sputare dentro.
Sento i denti scricchiolare a forza di stringere.
Sento la bocca scomparire a forza di tenderla.
Sento gli occhi bruciare.
Sento la testa scoppiare.

Fa bene essere maltrattati da chi ami.
Toglie la paura e aggiunge cazzutaggine.

Sono più forte di tutti.
Ho la testa alta e quattro coglioni.