lunedì 6 giugno 2022

Ferrara di Monte Baldo

E' dai tempi del divorzio che mi prometto di fare un viaggio solitario.
Un viaggio dove mi prendo il tempo per riconnettermi con me stessa, dove non devo condividere lo spazio, il tempo, il ritmo, le preferenze. 
Il mio divorzio è stato molto doloroso (raramente un divorzio è leggero, lo so) e mi ha lasciato questo enorme bisogno di tornare a me stessa, di ricordarmi come ero io, senza questo gigantesco sentimento, di mettere le mie preferenze al primo posto, di leccarmi le ferite. 
E' passato del tempo dal divorzio, ma una serie di peripezie glocal mi avevano impedito di partire da sola. 
Ora, a poco più di quattro mesi dal parto e con le ferite ancora sanguinanti, ho pensato che bisogna farla questa cosa, perché a breve la mia vita sarà rovesciata, ammucchiata e pigiata in un'esistenza confinata tra pannolini, pappette, biberon e sorrisini sdentati. 
Sarebbe stato bello andare in Giappone.
Sarebbe stato bello andare in Messico.
Sarebbe stato bello andare in Iran.
Considerate le mie possibilità, avevo deciso che sarebbe meraviglioso andare anche a Venezia. Vedere finalmente la biblioteca degli armeni, farmi un giro approfondito del ghetto ebraico, girare senza meta, senza scazzi, fermarmi a leggere quando e dove voglio, mangiare quando voglio, dormire quando e quanto voglio. 
Venezia è sfumata. 
O meglio, l'idea del viaggio solitario è sfumata.

E fu così che mi ritrovai a Ferrara di Monte Baldo per il ponte del 2 giugno. 
Ormai accolgo con rassegnazione questa cosa che nulla, ma nulla va come avrei voluto che andasse. Ci si abitua anche alla delusione, no?
Non ricordo come ho trovato questo paesino, ma è da Pasqua che tento di andarci: ad un certo punto è diventata una questione di principio.

Non mi importa delle opinioni. 
Le genti non hanno lo stesso bordello emotivo che ho io.
Le genti non stanno passando per un infinito spettro di sfumature della merda. 
Le genti non capiscono che non voglio lanciare provocazioni, fare la diversa, tirarmela o altro. 

La verità è che sto bene solo da sola. 
Mi basto. 
E poi non sono da sola, perché ho un piccolo cucciolo di cagna che mi bussa da dentro la pancia e mi riempie il cuore di una tenerezza di cui non credevo di essere capace. 

Ho portato con me: quattro libri, un pc pieno di film piratati, della frutta preventivamente disinfettata nel bicarbonato, cuffie e un elenco di itinerari da pensionata. 

C'era un cuculo che, insieme al mio bambino, mi teneva compagnia nelle notti insonni. 

C'erano miliardi di sfumature di verde del bosco di cui mi riempivo gli occhi. Mi manca, mi manca da impazzire quella cosa che mentre bevi il caffè al bar, puoi alzare gli occhi e bere tutto quel verde con lo sguardo. Mi mancava un sacco aspirare con forza l'odore del bosco, guardare le farfalle, fissare un ruscello. 

Mi inoltravo nel bosco con i miei libri e le mie mele e mi scioglievo tra le pagine e la contemplazione del nulla, nel silenzio, nel gioco di raggi che penetrano le foglie, in una luminosa sensazione di esistere, di essere me stessa, senza nessuno, senza speranze, senza futuro, senza passato, solo il mio respiro e il mio cosino che mi fa ciao-ciao nella pancia. 

Terminavo le giornate con un bicchiere di vino rosso, sfogliando libri d'arte di cui abbondava l'albergo.

Mi infilavo nella doccia e poi nelle bianche lenzuola del mio monastico lettino singolo, chiudevo gli occhi e vedevo il verde e sorridevo al buio, abbracciavo il mio bambino e sorseggiavo lentamente la mia felicità di cinica sociopatica. 

Devo riuscire a fuggire più spesso. 
Vorrei riuscire a fuggire per sempre. 

 


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