lunedì 5 giugno 2023

05.06.2023

Alla faccia dei buoni propositi.
Non è questione di tempo, è questione che non saprei nemmeno cosa dire.
Vorrei tanto poter fissare nella memoria questa mattina, ma poi, quando mi ci metto, le parole sembrano banali. Alcune cose proprio non ne hanno bisogno, nessun bisogno di definizione. Il mio bisogno è semplicemente quello di cristallizzare le sensazioni. Ho paura di addormentarmi e svegliarmi in un mondo dove il mio bimbo ha un tatuaggio in fronte, ascolta musica di merda e mi ignora.
Per questo, solo per questo, vorrei ricordarmi questa mattina. 
La pioggia contro i vetri. 
Il silenzio. 
I miagolii di nico che ha imparato a farsi la colazione self service e a sganciare il reggiseno per abbeverarsi senza nemmeno svegliarmi. 
Mangia con tutto il corpo, rannicchiato, caldo e profumoso, si aggancia con manine, piedini e bocca e mugugna soddisfatto, ancora un po' addormentato, tutto soffice con quei rotolini inaffrontabili. 
Sale il padre coinquilino che non si stanca di propormi di bere il caffè insieme, nonostante io rifiuti tutte le volte. Nico interrompe l'impegnatissima colazione per salutarlo con enormi sorrisi, gridolini e un piccolo discorsetto di bababa-mamama-aeee. Io poi mi metto il mio bimbolozzolo sulle ginocchia e constato nuovamente che è più del doppio di qualche mese fa, anche se più piccolo e più magro dei bambini della sua età. Di nuovo ripenso al fatto che questo qua è uscito dal mio apparato genitale e avverto ancora un gran mal di pheega al pensiero. Di nuovo ripenso al parto, a come pensavo fosse morto, alla pediatra che, dopo averlo visitato mi dice "eeh madre fumatrice" e mi pento di non averle detto "ma crepa, testa di cazzo" che mi hanno tenuta lì per dei giorni a soffrire come una cagna pur di non praticare un cesareo, mangia particole di merda. Sono passati più di otto mesi e ancora non riesco a superare questo senso di ingiustizia che mi piomba addosso ogni volta che ripenso al parto, ogni volta che penso a come siamo stati entrambi fortunati, perché abbiamo oggettivamente rischiato la vita e nico poteva venir fuori scemo o svergolo o entrambe le cose. Comunque, poi lo guardo e non sembra svergolo, scemo può ancora diventarlo, ma quella sarà una mia responsabilità. 
Procedo con una serie di coccoline al mio cosino, respiro profondamente e penso a quanto sono fortunata a vivere in un posto dove posso essere pagata per stare nel letto con mio figlio. Penso a quanto sono fortunata a non avere una guerra intorno a me, penso che per fortuna posso permettermi di dargli da mangiare, coprirlo dal freddo, portarlo in posti belli. Sono tutti pensieri banali e solo qualche tempo fa mi avrebbero fatto venire il latte alle ginocchia. Ma è proprio proprio vero che lo si riesce a capire a pieno, solo quando ci si immerge. Quando si capisce la fragilità della vita che si ha tra le mani, che non ha chiesto di esistere e che ha diritto ad un'infanzia priva di abusi, traumi e carenze alimentari. 
Faccio tutti questi pensieri così materni e così scontati, mentre cambio, lavo, asciugo, incremo, mordicchio, solletico e tormento il fanciullino.

Metto su gli Strokes.

Facciamo colazione. Io con cereali e latte, lui con melone e farina di grano saraceno. Va in scena il solito calvario delle mani nel piatto, la sbobba che viene spalmata su faccia, capelli e vestiti di entrambi. Sorridenti bestemmie della madre. Sorridenti bababa-mamama-aeee di nico (probabilmente sono bestemmie anche le sue, ma non lo sapremo mai).

Altro pisolino, la giostrina che canta una canzone georgiana, io che mi sbrodolo mentre piego mussoline e body, Nico che se la guarda per un po', poi comincia a reclamare le attenzioni della sua serva. Non so proprio come fare a smettere ad allattarlo: sembra l'unico modo per farlo dormire. Oltre a quello di portarlo in giro sui bolognini, ma sotto la pioggia mi diventa un po' incasinante...
Quindi, altro piccolo richiamino di latte e pisolino.
Io nel mentre mi sono guadagnata i miei dignitosissimi 20 euro per una traduzione. 
E ora vedo dei movimenti nel lettino.
Così
questo è un cristallo che mi vorrei tenere per sempre.
Ci sono un miliardo di cose che non vanno bene, ma sono così felice che a volte me ne dimentico.

martedì 9 maggio 2023

09.05.2023

 

Ci tengo un sacco a questa cosa che io sono figa e posso fare tutto da sola.

In effetti posso fare quasi tutto da sola, ma certe volte mi domando che cazzo ho in testa.

Oggi ho deciso di andare a piedi fino a San Vito, attraversando i vigneti. Vigneti infangati. Ruote del passeggino che si bloccano. Io che cerco di liberarle dal fango con gli esili rametti di vite. Io che bestemmio. La pioggia che inizia e io che non mi sono portata nulla per coprirti. Alla fine ho dovuto farmi tre quarti di strada impennando su due ruote con te che dormivi con testa e guance a penzoloni.

Certo, nulla di tragico. È che sono stanca morta e mi sarebbe piaciuto che qualcuno mi aiutasse. Ma chiedere è pari a un piatto di merda calda per me, quindi via: sputtano le poche energie a disposizione e porto in giro la mia coroncina di corna cazzute.

Non è tanto questione di indipendenza, quanto di un minimo di sale in zucca.

A me è sempre mancato, ma ora andiamo verso valori negativi.

Comunque, un’avventura al giorno per te. A fine giornata c’è sempre qualcosa di tragicomico da ricordare.

Ah e volevo anche ricordare che esattamente un anno fa ti sei mosso per la prima volta. O meglio è stata la prima volta che ti ho sentito. O almeno credo fossi tu. Era ora che ti sentissi e mi dicevano che la sensazione è simile alle bolle nella pancia, solo che io non riuscivo a capire la differenza e non sapevo mai se sbrodolarmi emozionata o stringere l’ano per non condividere i miei gas intestinali. Però ricordo bene che ero sdraiata al buio e ho sentito come una farfalla nella pancia. Mi piace pensare che eri tu, anche perché era la mia prima festa della mamma ed ero molto triste (non per la ricorrenza, per carità) e tu mi hai fatto ciao ciao e subito non ero più triste.

Ecco.

Resta comunque il dubbio che fosse solo una scoreggia…

08.05.2023

 

Tu non sei come tutti i bambini.

È probabilmente la cosa che pensa ogni madre.

Che poi, io di altri bambini non so una mazza. Il mio istinto materno esisteva in un mondo parallelo, in realtà non avevo idea di quello che fosse un bambino.

Una cosa però è certa: se alla maggior parte dei bambini piace la macchina e, addirittura, pare essere un infallibile metodo per abbatterli, a te la macchina fa cagare.

Ieri ti ho portato a Garda a fare un giro con la grande V e la piccola V e tu hai pianto come se ti stessero cavando la pelle per tutto il viaggio di andata e di ritorno. Sudato, rigato di lacrime, bestemmiante… io che già guido di merda, figurati come sto bene con un elemento di disturbo del genere. Mi concentro per non guardarti mentre guido, giusto così per scongiurare tipo un frontale, ma ogni volta arrivo a destinazione sfinita e ogni volta mi prometto che non ti porterò più in giro in macchina e poi ogni volta ci ripenso, perché non posso mica smettere di vivere solo perché tu ami cagare il cazzo. Tra l’altro, ieri la mia fabiolina ha deciso di mollare la batteria dopo nove anni di onorato servizio. Quindi, ricomponiamo il quadro: tu – sudato, disperato, bestemmiante, io sudata, disperata, bestemmiante, che andiamo in giro con aria di elementi socialmente pericolosi a supplicare se qualcuno ci dà la carica per partire. Per fortuna, avere l’aria di madre adolescente con un piccolo animaletto dai grandi occhi è di aiuto in certe situazioni. Alla fine siamo riusciti a partire, ma non per questo mi hai risparmiato le tue urla furibonde per tutto il viaggio.

In questo momento, sono in piedi che dondolo, con te impacchettato nel marsupio. Ti sei appena addormentato. Speravo che dormissi nel letto, così magari potevo farmi un micro pisolino anch’io, ma tu sei convinto di essere un piccolo canguro e preferisci dormire nel marsupio, con il bonus della mia schiena spezzata: d’altronde non c’è goduria per te se io non soffro.

Per finire la giornata, ieri è venuto quel pagliacetto di mio fratello a farti mille feste e, nonostante tu fossi bollito dopo il viaggio, hai riso un sacco lo stesso. Io adoro la tua risata. Mi si schiudono tutti i fiori dentro e sento un milione di campanellini e voglio esplodere e penso che non ci sia cosa più figa di avere un botolo come te. 

Ho la schiena in frantumi però... come la vogliamo mettere con questa cosa che appena provo a metterti giù, azioni l’inclinometro e cominci a piangere?

 


domenica 7 maggio 2023

07.05.2023


Ho deciso di iniziare questo diario per te, ma soprattutto per me. Perché ho la sensazione di essere invisibile, ho il terrore che domani mi sveglierò e tu avrai vent’anni e tutti questi piccoli momenti belli, brutti, difficili, disperati e tenerissimi verranno persi nell’oblio. Non so se ho una malattia degenerativa o se è normale essere così smarriti. Mi dimentico tutto, dalle cose vecchie alle cose nuove, non padroneggio più il linguaggio e quando parlo sembro affetta da una qualche sindrome rincoglionente o forse, più semplicemente, sembro un’analfabeta.

Non ho più il tempo per leggere.

Non più il tempo per pensare a cose belle, edificanti, sviluppanti.

Tutti i miei pensieri si aggirano continuamente intorno alle cose da fare, pulire, lavare, cambiare, riordinare, cucinare e, nelle pause, litigo mentalmente con tuo padre.

Ho deciso quindi di iniziare questo diario e spero di avere sufficiente costanza. Spero che tu inizi a dormire per più di trenta minuti alla volta e spero di imparare a sbattermene del porcile in cui viviamo.

Ho scritto diari per anni, diari scritti in teneri quadernetti, diari scritti in quaderni più adulti, diari scritti su un floppy disk che ormai nessuno potrà rileggere, diari scritti sul web, diari scritti su word e poi dimenticati nei meandri degli incasinati terabyte di hard disk che non funzionano più.

Considerando che non voglio prendere la Sertralina che mi hanno prescritto per calmare un po’ il sistema nervoso, che non voglio bere più di un bicchiere di vino al giorno, perché ti starei ancora allattando e mi sembra disonesto iniziarti all’alcolismo all’età di sette mesi, considerando che i cannabinoidi sono diventati per me fonte di orribili paranoie e trip bruttissimi (roba che con quattro tiri di spinello, inizio a svalvolare e partire per spirali di infantili paure e insensate paranoie paralizzanti), mi è venuto in mente che, da giovane, la scrittura era l’unica cosa che mi salvava dalla solitudine, dalla sensazione di non esistere, dalle paure, malinconie, tristezze. Nonostante abbia appurato da tempo di non avere talento nella scrittura, nonostante abbia abbandonato da tempo il sogno di diventare scrittrice, critica letteraria o traduttrice letteraria, nonostante il mio vocabolario si sia ristretto per mancanza di stimoli, nonostante il mio senso dell’umorismo e cinismo abbiano perso parecchio smalto, trovo ancora nella scrittura uno dei modi migliori per tranquillizzarmi e tornare a me stessa.

Eccomi dunque mio piccolo botolo, ti uso come destinatario non senziente delle mie righe.

La giornata è iniziata intorno alle 5. Tu dormivi accanto con indosso questo pigiamino con gli alci che ti hanno passato le cuginette francesi e che ti va già piccolo, ma viste le ristrettezze cerco di prolungare la vita utile di ogni oggetto. Mi sono resa conto stanotte che era decisamente ora di tagliarti le unghie dei piedi, perché mi hai graffiato la pancia tutta la notte. Ti agiti come un forsennato mentre dormi. O meglio, passi da momenti in cui agiti gambe, braccia e testa a momenti in cui ti adagi e dormi come un piccolo animaletto guanciuto.

Ecco che ti sei svegliato…

Finisco per il momento.

 

lunedì 17 aprile 2023

17.04.2023

 

 

Vorrei avere uno scrigno per poterci infilare ogni momento.

Il piedino che mi sta in una mano.

Questi enormi occhi lucenti da piccolo gufo.

Il monociglio da Elio.

La testa  che sembra un kiwi.

Ci vorrei infilare l’odore di nanne nel collo.

La manina che mi tiene il dito.

La voracia.

Lo stupore che mi fionda addosso all’idea che io, mezza scassata come sono, riesco pure a generare il suo nutrimento.

Vorrei infilare in uno scrigno la cosmica tenerezza che mi riempie all’idea che gli basto io, che riesco a risolvere ogni suo problema.

Vorrei conservare per sempre la sensazione di cristallina purezza, dove non ci siamo ancora fatti del male, dove io non ho ancora fatto in tempo a sbagliare nulla, dove lui non è ancora riuscito a ferirmi con l’egoismo tipico dei figli. Lui è l’unico a non rimproverarmi nulla ed è l’unico a cui non ho nulla da rimproverare.

Io sono la sua casa e lui è la mia e questa cosa ovviamente e giustamente finirà, ma io vorrei ricordarmi esattamente questi mesi.

Vorrei non dimenticare la sensazione di perfetta felicità, quando mi si addormenta in braccio. E non voglio altro. Non sento la fame, i 9 mesi di insonnia, non penso alla devastazione della mia vita personale, professionale, sociale. Nulla. Solo io e il mio botolo stupendo. Tondo, caldo, soffice e luminoso come una palla di luce.

Vorrei fermare il tempo e restare così, insonne, stanca, con la stessa felpa da settimane, con il latte che mi gocciola, la pancia che sembro ancora all’ottavo mese di gravidanza, i capelli da strega, il colore di un cadavere decomposto e un senso di completa isolazione dal mondo.

Vorrei passare la vita a leggere filastroche e guardare questo qua che ride quando faccio le voci. Vorrei passare la vita a fargli i massaggini e sfiorare con le punta delle dita le sue minuscole ditina, mordicchiare i rotolini e sentire i suoi gridolini da pagliaccio.

Forse sono nata per essere madre. Peccato averlo scoperto solo ora e solo così.

domenica 24 luglio 2022

nuovi stili d’insonnia

Chissà se mi pensi almeno una su diecimila volte in cui ti penso io. 

Chissà se le mie notti insonni di ippopotamo accaldato si incrociano con le tue serate di barbarica baldanza.

Chissà se in un universo parallelo ce l’abbiamo fatta a non sputtanare tutto.

Mi cullo immaginando come sarebbe se in tutto quello che mi sta succedendo ci fossi tu. Mi cullo immaginando come mi avresti dato i bacini sul pancione e come saresti stato in agguato con la mano per sentire gli arroganti calci del cosino che porto dentro. Mi immagino i tuoi sguardi apprensivi, le bestemmie per montare il lettino e mille altre piccole cose che so esattamente sarebbero potute succedere.

Spero davvero che in un universo parallelo stia accadendo…

Perché mi sembra un peccato mortale questa cosa che alle 5 del mattino, vedo la scritta online sotto il tuo nome e non ho il diritto di dirti che ti guardo, che buonanotte ciccio, che mi manchi un sacco, che ho caldo, ho paura e avrei bisogno di sentire la tua voce per ritrovare un po’ di coraggio.

lunedì 27 giugno 2022

68

Oggi è il giorno in cui mia mamma soleva preparare una grande torta con fragole fresche.

Era il giorno in cui si chiamava la Bulgaria e ci mettevamo ad urlare tutti insieme, senza ascoltarci, senza sentirci, ridendo di noi stessi, e brindando con vino freddo. 

La più squillante delle ragazze, la più irriverente del clan, oggi avrebbe compiuto 68 anni e avrebbe risposto al telefono tossendo e battendo le traduzioni con una mano sul suo scassato computer. Avrebbe spietatamente stroncato tutti i nostri auguri, invitandoci ad infilarli nei rispettivi ani e di darle finalmente dei nipoti, invece di cazzeggiare. 

Dove sei adesso che dovresti rompermi le palle da mattina a sera, agitandoti come un gabbiano affamato per ogni minchiata riguardante il bambino? Ti sembra giusto non esserci? Ti sembra giusto lasciarci soli? Chi ci sdrammatizza? Chi ci interrompe gracchiando? Chi ci insulta? Come faccio io a moltiplicarmi, se tu non sei lì a spiegarmela? Passano i mesi, gli anni, eppure io non riesco ancora a capire perché si debbano perdere le persone che servono per acquisirne di inutili. 

Vuoto.

Mi manca la casa.

Mi manca l'odore delle lunghe tende beige, dietro le quali mi piaceva nascondermi da piccola e immaginare di essere invisibile, mentre la casa si riempiva di voci di donne.

Mi manca vedere la casa dal basso, con sguardo di bambina, dove tutte le persone che amo erano vive, giovani e forti. 

Sembra di essere una gallina spennata. 

Senza forze.

Mi mancano le persone che sapevano darmi forza. 

Non voglio diventare grande.