giovedì 19 novembre 2020

Dipanare la nebbia.

Sono distrutta dall’idea di non aver capito un cazzo in trentatré anni.

Mi sento sola.

Mi sento abbandonata.

Mi sento vuota. 

Nuoto in una piscina di vomito e mi rendo conto che la bambina dentro di me è stata di nuovo schiaffeggiata. La bambina che ero, con occhi pieni di stelle, con le canzoni in testa e le poesie sulle dita, è stata di nuovo messa in castigo.

Io e i miei sogni siamo di nuovo al punto di partenza. Solo che forse, questa volta, ho capito che i miei sogni non valgono un cazzo. Forse ho sbagliato sogno, forse ho sbagliato persona. E la persona sbagliata sono io. È con me che i sogni non si avverano. Restano eternamente nello spazio tra il collo e il cuscino.

Credere.

Non credere.

È sbagliatissimo riporre le proprie speranze in persone estranee, per quanto questi estranei possano esserti entrati sotto pelle, per quanto ti possa illudere, per quanto possa sembrare che nessun’altro possa entrare più dentro di così, alla fine arriva il momento in cui le bianche nuvole si disperdono, le parole perdono senso e resti da sola. Fumi cento sigarette e fai fuori litri di vino, smetti di mangiare e dormi a scatti, ti risvegli con le lacrime e ti arrabbi. 

Ci sarà un nuovo inizio?

Un’altra volta in cui penserò di essere arrivata a casa, per poi scoprire che la mia casa non esiste.

 

martedì 17 novembre 2020

lunedì 16 novembre 2020

lunedì

Non mi si può lasciare sola un attimo. Tutto il mio esoscheletro si dissolve e diventa una melma lagnosa. Scappo in bagno a piangere e a battere la testa contro la parete di compensato. Com’è possibile che tutto svanisca? Com’è possibile che non esista più? Dov’è  la giustizia? Com’è possibile che tutto questo grande grandissimo gigantesco amore non esista più? Mi sbrodolo a sentire qualsiasi canzone frocia e voglio correre a piedi per affondare la faccia nel suo profumo.

 Dimenticare tutto, ricominciare, ma da dove? Come si fa a ricominciare? Mi sento sbriciolata, come un vecchio biscotto dimenticato. 

giovedì 12 novembre 2020

ciclo

 

Sono passati più di tre anni da quando abbiamo deciso di avere un figlio.

Ok, “abbiamo” è forse esagerato. Io ho deciso e lui ha acconsentito senza alcun entusiasmo e con una grande (quanto appagata) speranza di non avere successo in questa impresa.

Tre anni di calcoli, tre anni di speranza, tre anni di sogni di una bambina dagli occhi grandi della madre, appetito del padre e buffonaggine di entrambi. Ho sognato il suo odore, ho sognato il suo primo sorriso, ho sognato i suoi piedini, ho sognato la domenica mattina con lei nel letto: io, lui e lei. La nostra piccola famiglia piena di porchidii e luce. Ho sognato lui che rientrava a casa e noi che gli correvamo incontro per fargli vedere che bei disegni che avevamo fatto. Ho sognato anche, addirittura, la prima volta che le avrebbero spezzato il cuore e come saremmo stati bravi io e lui a farle sentire la forza del nostro amore e come l’avremmo tirata su a suon di risate. Ho sognato poi i suoi due fratellini gemelli e di nuovo noi tutti nel letto, con lui che muggisce e vuole dormire e noi che ci arrampichiamo sulle sue cicciosità per indispettirlo e lui che brontola, ma sotto-sotto sorride e gli si riempie il cuore per avere intorno tutti questi piccoli cagacazzi capeggiati dalla sua vecchia rana.

Ho fatto un sacco di sogni.

Mi sono addormentata per centinaia di notti con il sorriso e le lacrime.

Ma questa bambina non è mai arrivata.

E noi siamo riusciti ad andare affanculo. Non perché lei non sia arrivata, ma comunque il mio grande sogno è andato affanculo. Strisciando, lentamente, disintegrandosi di giorno in giorno.

Dopo tre anni, sento di nuovo arrivare il ciclo. Puntuale come la maledetta morte. Solo che, questa volta, non sono arrabbiata, frustrata, delusa, distrutta, spezzata, frantumata e polverizzata dalla consapevolezza che, anche questa volta non ce l’abbiamo fatta. Dopo tre anni, sento un’amara sensazione di liberazione dall’aspettativa che mi opprimeva. Per la prima volta, non potevo avere dubbi. Per la prima volta, dopo più di mille notti, ritorno ad avere una connessione con il mio ciclo. Ritorno ad accettare il mio corpo, anche se si è rivelato un terreno arido. Ritorno a me stessa.

È una strana sensazione, quella di non avere più un sogno che ti ammazza ogni mese, che ti lascia in una pozzanghera di lacrime incomprese, lacrime che nessuno ha mai voluto asciugare, lacrime che nessuno ha mai condiviso.

Sono tutte strane queste sensazioni in questo nuovo mondo, che sembra non appartenermi e non avere niente a che fare con me. Non ho più un mio mondo. Il mio mondo è finito. Dovrò ridisegnarlo da zero. Che palle!