giovedì 31 marzo 2016

rose e rosari

Per me è quasi scontato che la gente capisca con un solo sguardo che sono profondamente atea e soprattutto furiosamente incazzata con le religioni istituzionalizzate, che sogno la distruzione totale della chiesa cattolica, non sopporto i cattolici, non sopporto i valori cattolici, non sopporto il perbenismo cristiano e in sostanza odio tutti. A me la cosa sembra scontata, mentre, a quanto pare, per il resto delle persone non lo è.
In effetti traggo anche un po' in inganno.
Oggi, ad esempio, sul collo mi ciondola un medaglione con una croce stilizzata in smalto. E' un regalo. Un regalo molto importante per me, realizzato a mano dai ragazzi di strada di un centro di recupero in Georgia. Fatto da ragazzi che ho visto crescere, con cui sono cresciuta. Poteva anche essere una svastica, probabilmente me lo farei comunque ciondolare dal collo periodicamente.
A proposito di svastiche, ho da tempo sviluppato un pensiero parallelo rispetto alle croci. Nel senso che se a me la croce fa nausea nella sua simbologia, per quello che rappresenta, per i danni che ha causato, per lo schifo che fa, per la strumentalizzazione lunga secoli, per le crociate, l'inquisizione, l'umiliazione, gli indios, l'Africa che viene indottrinata per non usare preservativi e morire di aids, per la pedofilia, il riciclaggio di denaro, per costrizioni ortodosse, per aver sventrato, rovesciato, rincoglionito i vangeli, per non praticare quello che predicano, per tutto questo e molto altro, per me la croce è uguale alla svastica... perché se la svastica nella sua simbologia induista/buddhista è un simbolo positivo, smerdato poi dal nazismo, anche la croce è un simbolo positivo di base, ma totalmente smerdato dalle varie correnti del cristianesimo.
Autoassoluzione quindi nel portare la croce nonostante il totale rinnego del cristianesimo: la croce è un bel simbolo, in fondo.
Avevo una compagna all'università che portava imperterrita una borsa (di quelle di stoffa da bancarelle che noi della facoltà di sociologia portavamo in massa, conformandoci all'anticonformismo) con stampe della svastica e non vedeva l'ora di essere canzonata per poter aprire un lungo dibattito sul vero significato del simbolo. La stessa cosa varrebbe per la croce, se non fosse che è molto più socialmente accettata e generalmente non provoca una reazione aggressiva e di conseguenza non si presta come terreno fertile per dibattiti. Uno che indossa una croce, quindi, è automaticamente considerato cristiano praticante e stop, a ognuno le proprie considerazioni personali. Il cristianesimo, nonostante secoli di schifo, è riuscito a farsi accettare dai più, come una condizione tradizionalmente normale. Non condivisa da tutti, ma da tutti rispettata.
Tutto questo per dire che:
Stamattina, nel mio piccolo regno odorante di rose portate dal nostro pittoresco armeno libanese, è capitato un montatore che doveva andare nella nostra officina a smontare qualcosa. Prima che arrivasse il capo officina è passato del tempo e il personaggio mi è rimasto a pindolare davanti al bancone mentre io mi facevo allegramente i miei noiosissimi cazzi. Ad un certo punto, il capo officina è arrivato e si è portato via il montatore, il quale montatore, prima di andarsene, ha detto un "complimenti, per tutto". Io, nella mia vanità di ragazzina, abituata a stare in mezzo alla carestia da figa, ho sorriso con tutti i miei grossi e ormai ingialliti dentoni, pensando che quel "per tutto" fosse rivolto al fatto che la mia attività assomiglia a quella della dea Kali della moderna zona industriale, con un telefono per orecchio, una penna in bocca ed un'elica nel culo.
Smontato lo smontabile, il montatore ritorna per consegnare il badge. Nel gesto di consegna del suddetto badge, mi infila in mano qualcosa che ho visto essere azzurro e subito ho pensato a delle caramelle e invece.
Invece era un rosario azzurro di plastica.
E sсomparve il montatore lasciandomi nel più totale degli sgomenti.
Ecco, sono tutt'ora scossa da tutto questo, ma ora si pone un altro problema: cosa me ne faccio? Voglio dire, nonostante la mia totale assenza di religiosità, un minimo di retaggio ce l'ho ancora e buttare via simboli più o meno sacri mi sembra quanto meno irrispettoso. Cosa faccio? Già sto perseguendo una politica di minimizzazione oggettuale in previsione dell'imminente trasloco. Ok, un rosario non occupa molto spazio, però, un rosario più una cartolina più un peluche più un cd vecchio alla fine fanno volume. Al di là di questo, fosse almeno un oggetto esteticamente bello forse lo terrei, ma è terribile, probabilmente prodotto in Сina da lavoratori sfruttati che hanno maledetto quel Gesù di plastica azzurra. D'altra parte, "dimenticarlo" in treno, ad esempio, mi sembra controproducente perché è un po' come fare del proselitismo non invasivo. Vabbé che uno se non è credente, non è che trova un rosario in treno e inizia istericamente a pregare a cazzo, se invece uno credente lo è già, sicuramente ha in casa svariati rosarietti, magari anche quelli di legno di rosa (che a me piacevano un sacco, li aveva mia madre) o di variopinti cristalli super kitsch. L'ultima volta che sono stata a Roma era un carnevale di rosari, che devo dire, messi tutti insieme e perso ogni significato religioso, sono piacevoli allo sguardo (almeno al mio, che a detta del mio ragazzo, sono come gli indios che impazzivano alla vista di vetri colorati).
ok, mi è diventato un flusso di coscienza questo shock religioso.
vado a produrre. 

mercoledì 30 marzo 2016

vertebre compresse

a me l'idea di essere al centro dell'attenzione fa letteralmente vomitare.
ho sempre odiato festeggiare il mio compleanno perché bisognava dare troppi bacini a tutti e in generale bisognava essere la festeggiata, mi faceva cagare. i concerti di pianoforte erano forse meglio perché anche se avevo tutti gli occhi puntati addosso era solo come dover ingoiare un grosso pezzo di merda, ma poi mi dimenticavo dell'esistenza degli umanoidi intorno.
l'egocentrismo quindi non mi appartiene, odio parlare in pubblico, odio anche solo esprimere il mio pensiero in un gruppo che superi 3 persone. amo però i colori sgargianti, ma credo che i colori sgargianti siano un'espressione della mia positività (peraltro molto ben nascosta su altri livelli) più che di un desiderio di essere notata.
non sono mai stata particolarmente competitiva, non sono mai stata particolarmente coinvolta nei giochi, non me n'è mai fregato un cazzo se ero più bassa, più pelosa, più piatta, più goffa della media. non me n'è mai fregato un cazzo se qualcuno prendeva voti più alti dei miei, non mi importava essere la prima in niente.
c'è solo una cosa.
e la sto scoprendo adesso. 
mi fa ancora più schifo di tutto quanto elencato sopra, l'idea di essere una seconda scelta, un ripiego. mangio senso di umiliazione ogni giorno, anche quando non ci penso e sento le vertebre che mi si schiacciano dal peso di questa cosa con cui mi autoflagello.
ma a quanto pare è inevitabile. sarò sempre la seconda scelta di qualcuno. 
c'è stato un tempo in cui ero la prima, ed è probabilmente una sensazione di fattanza che non ritornerà mai più, ma che avvelenerà il resto che verrà. paradossalmente me l'ero predetta da sola nel pathos infuocato dei 20 anni. mi sono incisa nella mente che tutto il resto sarà solo una discesa. 
pare che il mio processo di crescita non sia terminato. sto aspettando con un sacco di ansia il momento in cui potrò dire di essere grande. grande nel senso di serena.

nel mentre continuo ad avere un cuore che batte contro un muro. 
è che la mia storia insegna che è completamente sbagliato convincersi che di là del muro ci sia la salvezza. perché la salvezza è dentro di me e vorrei quanto meno essere la prima scelta di me stessa, poi il resto andrà affanculo da sé.



martedì 29 marzo 2016

girovago


In nessuna
parte
di terra
mi posso
accasare

A ogni
nuovo
clima
che incontro
mi trovo
languente
che
una volta
già gli ero stato
assuefatto

E me ne stacco sempre
straniero

Nascendo
tornato da epoche troppo
vissute

Godere un solo
minuto di vita
iniziale

Cerco un paese
innocente

Parafrasi (per chi come me, manda sempre e tutto in vacca):
In nessun
luogo
della terra
posso stabilirmi
e sentirmi a casa
In ogni
nuova
città
in cui mi trovo
mi sento
privo di forze e disadattato
mentre
una volta
mi ci abituavo
E me ne stacco sempre
come uno straniero
[Voglio] godere
il momento
della creazione, il principio del mondo
risalendo le epoche
della storia e del tempo,
che risultano fin troppo vissute [e dunque corrotte]
Cerco un luogo incorrotto, la purezza originaria


eh unga ne sa a blocchi.
è che una che incarna sia il girovago sia la foglia d'autunno sia il porcodio è veramente difficile. e poi le poesie non risolvono niente. ha ragione mio fratello a dire che sono un piccolo principe senza pisello, per quanto stia, ormai da anni, cercando di inchiodarmi con i piedi per terra, come un cristo sottoproletario, alla fine mi trovo sempre, anche nelle situazioni peggiori, a pensare a poesiette, quadretti, immaginare di vivere dentro un caleidoscopio. probabilmente sono nata per drogarmi di acidi e non avere tutti questi pensieri pratico-logistici. non ci sto dentro. non ci sto dentro e pretendo che tutti gli altri ci stiano dentro che tutti gli altri siano coerenti che tutti gli altri mi diano il coraggio di fare quello che vorrei fare. e invece tutti gli altri sono parzialmente fottuti come me e mi sembra quanto meno disonesto da parte mia pretendere da altri quello che io stessa non sono in grado di fare.
vabbè ma mi sa che sono una testa di minchia.
a volte sogno di essere dichiarata pazza ed essere rinchiusa in una stanza dalle pareti morbide con dentro solo i libri. nessuno che si aspetta niente da me, nessuno che crede in me, nessuno che mi chiede conto delle mie azioni, solo le persone che amo che siano felici della mia semplice esistenza e basta. sarebbe figo. ma se l'opzione di farmi dichiarare pazza non è poi così improbabile, l'ostacolo insormontabile mi diventa il fatto che hanno abolito i manicomi.
io invece ho proprio bisogno di sbattere la testa contro delle pareti morbide.  

giovedì 24 marzo 2016

march

marzo per me è totalmente incompatibile con la vita.
non riesco davvero a capire come faccio ad essere viva.
ogni volta che scrivo /03 in una data mi stupisco che questo mese possa esistere nella mia vita, mi sembra di vivere al di fuori del tempo per 31 giorni consecutivi ogni anno.
e ogni anno ce la si fa, è solo come trattenere il respiro per un po'. 

mercoledì 16 marzo 2016

è marzo per tutti.

in fondo alla bottiglia non c'è la verità e nemmeno la soluzione.
ma c'è l'oblio...
che spesso è decisamente meglio della verità.

martedì 15 marzo 2016

Le 7 regole del convivio in Georgia


La Georgia è: vino e spiedo, eloquenza ed ospitalità. Desideri capire una persona? Mettiti a tavola con questa. Siamo andati a Tbilisi, ci siamo seduti a tavola con il tamada ed abbiamo accertato che i georgiani conoscono un modo per fermare il tempo ed allungare sensibilmente la vita.

                                Foto: Razhden Gamezardashvili


Il convivio georgiano è un rituale mistico, nato nell'amore. La parola chiave qua è proprio “l’amore”. La natura trasuda amore, l'aria è impregnata d’amore, lo spazio è carico d’amore. Si percepisce l’amore in ogni brindisi pronunciato durante il convivio. Nel modo in cui il tamada Luarsab Togonidze muove delicatamente il bicchiere tra le mani prima di fare un sorso. Nel modo in cui guarda la moglie Nino, la quale gli ha regalato cinque figli.

Il tamada Luarsab Togonidze soppesa ogni parola. A proposito, il brindisi al tamada, fatto durante il convivio, si considera l’ultimo. Successivamente tutti se ne vanno o scelgono un nuovo tamada.


Luarsab è un montanaro barbuto e possente, sui due metri. Sua moglie Nino è una mora minuta. “Ho incontrato Nino nel 1997. Naturalmente durante un convivio al matrimonio di un amico in comune”.
A Tbilisi, Luarsab è un personaggio leggendario. E non solo grazie ai brindisi… in realtà non esiste la professione del “tamada”. Il convivio celebrativo viene condotto per vocazione o su richiesta degli organizzatori. Ovviamente a titolo gratuito. L’attività principale di Togonidze è confezionamento e commercio di costumi nazionali, con i modelli restaurati in base alle esposizioni dei musei e vecchie fotografie. Inoltre, Luarsab interpreta splendidamente le litanie ecclesiastiche ed è proprietario di diversi ristoranti. Ha quindi sufficiente conoscenza ed esperienza da condividere con il prossimo. Naturalmente, a tavola.



A detta di Luarsab, nell'atmosfera del convivio è presente una magia invisibile, creata dal buon vino e dalla buona compagnia, che permette all'uomo di aprire il cuore. Tra le persone riunite deve regnare amore e amicizia, altrimenti la festa è impossibile, per quanto possa essere bravo il tamada. Perciò, ogni brindisi termina con un generale esclamazione “Gaumargios!” – augurio di vittoria a tutti i presenti. Intorno alla tavola georgiana tutti sono equi, come di fronte a Dio. È per Lui che si pronuncia il primo brindisi. Sempre

AllAltissimo


“Quando il Signore stava distribuendo le terre tra gli uomini, i georgiani si stavano godendo una tavola imbastita, bevendo vino e mangiando carne allo spiedo. Non avevano tempo per partecipare alla frenesia generale. Quando la distribuzione è terminata, i georgiani si sono trovati senza il loro pezzo di terra e il Signore ha deciso di dare loro il giardino che aveva riservato per Sé”  dice Luarsab Togonidze con voce orgogliosa.

Ogni tamada ha una struttura chiara ed universale dei discorsi celebrativi. Il vero tamada però deve saper apportare al brindisi qualcosa di personale, appartenente alla sua esperienza, metterci il suo amore. Luarsab, come la maggior parte dei suoi connazionali, ha un rapporto speciale con Dio.

“I miei parenti lodavano il Signore a tavola anche ai tempi sovietici, quando la religione era perseguitata. Il convivio storicamente è la continuazione della funzione religiosa, mentre il vino simboleggia il sangue di Cristo. Per noi è una bevanda sacra. Il vino non si beve per ubriacarsi. Tra i georgiani l’ebbrezza è considerata una vergogna! Il vino ci permette di toccare le nostre rinomate tradizioni. Gaumargios!”


IL FAMOSO VIAGGIATORE

Alexandre Dumas. Caucaso
...Alla nostra sinistra v’era la Kakhetia – questo giardino del Caucaso, questo vigneto della Georgia, dove producono un vino che rivaleggia con quello di Kizlar e potrebbe rivaleggiare con quello francese, se i nativi sapessero produrlo e soprattutto conservarlo come si deve. Lo versano in otri di capra o bufalo e dopo un certo periodo di tempo questi donano al vino un sapore particolare, apprezzato, dicono, dagli intenditori, ma disgustoso a parer mio. Il vino che non viene versato negli otri di capra e bufalo, viene distribuito in enormi anfore di terracotta, che vengono sotterrati, proprio come gli arabi sotterrano il pane di frumento, in una sorta di buche delle biade. Qua ricordano ancora come sotto i piedi del dragone russo è crollata la terra e, caduto sull'otre di terracotta, è annegato come Clarence nella botte di malvasia...




Alleternità


Esiste una leggenda sugli emigranti georgiani che sono rimasti a lungo in un ristorante parigino. Gli ospiti si succedevano e alcuni di loro, prima di andare via, chiedevano ai camerieri l'identità di queste persone. I camerieri rispondevano “Ah, sono i georgiani, ora loro non hanno la percezione del tempo…” Effettivamente, per un convivio georgiano non esiste il concetto del tempo! Quando ci sediamo a tavola, le lancette degli orologi si fermano.

Durante un convivio georgiano sono sempre presenti coloro che “ci hanno lasciato”. È per questo che qua, ricordano i defunti (brindisi indispensabile, indipendentemente dal motivo dell’incontro), si usa far tintinnare i calici: perché loro sono vivi, finché c’è chi li ricorda e li ama. Alla fine tutti  si incontreranno prima o poi e, sicuramente, si metteranno a tavola.
“Ho avuto più di una volta una sensazione metafisica – dice Luarsab – stai seduto a tavola per sette-otto ore senza rendertene conto. I brindisi, i canti, l’energia incantano, ipnotizzano. È paradossale, perché sei conscio del fatto che la vita è molto breve... Beviamo per coloro che non ci sono più, perché con la loro dipartita anche tu, inevitabilmente, diminuisci. Gaumargios!…"

  La Georgia si è convertita al cristianesimo all’inizio del IV secolo. La Vergine Maria è considerata la Protettrice del paese.


Alla generosità della terra


“…Ma la terra sa rendere, allo stesso modo in cui toglie. Soprattutto una terra fertile come in Kakhetia! (Questa regione all’occidente della Georgia, famosa per la sua antica storia vitivinicola, è spesso chiamata il Bordeaux del Caucaso n.d.r.)  Una volta, con un amico, stavamo parlando sul perché di così pochi uomini famosi originari della Kakhetia e siamo giunti alla conclusione che la terra qua regala ai nativi ogni ricchezza in abbondanza, per questo nessuno si affanna per spostarsi nella capitale, nessuno si fa in quattro per raggiungere qualcosa e distinguersi. Credo che i vinaioli confermeranno le mie parole.

Per mantenere una comunicazione dinamica a tavola, il tamada sceglie spesso qualcuno per un alaverdi – la continuazione del brindisi iniziato. La persona che riceve la staffetta sviluppa il tema precedente. Questo non è un compito difficile per l’amico di Togonidze, il vinaiolo Iago Bitarishvili, produttore di vino secondo le antiche tradizioni.
“Non mi considero un vinaiolo. Semplicemente aiuto la natura a generare il vino! La natura non si può ingannare. Un mio amico, quando studiava a Mosca ancora ai tempi sovietici, andava a raccogliere le patate. Il loro lavoro veniva ritirato da un vecchio quasi cieco, così raccoglievano un solo sacco di patate e lo porgevano al vecchio a turno, mentre lui annuiva soddisfatto... lo racconto per dire che si possono ingannare sia l’uomo che il sistema, ma non la terra... da noi si dice: “un uomo cattivo non farà un buon vino”. La qualità del vino è un test di umanità." 

 



Il tradizionale pane georgiano shoti  si cuoce in forni tondi costruiti con mattoni ignifughi. Esiste una credenza, per cui il pane ama quando si canta mentre si impasta. Solo così viene croccante e fragrante.


L’uva raccolta viene lavorata nel marani – un locale apposito. Inizialmente i grappoli si pigiano con i piedi nel satsnakheli -  una pressa scanalata in un tronco massiccio di legno di conifere. Questo è il metodo più  delicato perché lascia intatti i semi d’uva, permettendo di escludere l’indesiderato sapore amaro nel vino. Il succo spremuto nella pressa viene versato nei qvevri - recipienti ovoidali sotterrati  con capienza fino a 2000 litri, per fermentazione, invecchiamento e successiva conservazione. Il posizionamento del qvevri permette di raggiungere una temperatura stabile di 14° C: ottimale per la conservazione di prodotti alcolici. In tante famiglie georgiane, si fa tutt’ora il vino con questo metodo antico. Con l’uva di un raccolto, Iago produce circa 1200 bottiglie, le quali sono dirette in piccole enoteche europee, statunitensi ed anche giapponesi. A proposito, l’esportazione del vino georgiano in Europa è iniziata, a detta di Luarsab, nel XIX secolo circa.  
“Ai tempi iniziarono ad esportare i vini di Mukhrani in Francia. Inizialmente non erano molto popolari presso i ristoratori del posto. Allora il principe Bagration di Mukhrani ha inventato un trucco: studenti georgiani vestiti di tutto punto andavano nei ristoranti e con denaro inviato dal governo facevano lussuose ordinazioni chiedendo di servire vini di Mukhrani. Quando venivano a sapere dai camerieri che i vini non facevano parte della cantina, i misteriosi ospiti pagavano e, senza aver toccato le pietanze, se ne andavano con una scenata d’effetto. È stato così che i ristoratori hanno dovuto ampliare la loro carta di vini. Beviamo dunque alla generosità della nostra terra! Gaumargios!"
 

Prendere il toro per le corna

È raro incontrare una così vasta varietà di artefatti per bere come in Georgia

 1. ASARPESHI — coppe basse e tonde con lungo manico piatto, nella forma ricordano il mestolo.



2. KULA — recipiente chiuso in legno con collo lungo e basso. Durante l’uso batte come un tamburello. Si pensa che gli uomini georgiani si caricassero prima delle battaglie grazie ai kula.



  

3. AKVANI — recipiente a forma di culla in ceramica, contiene circa mezzo litro. Con questo vaso si beve alla nascita di un bambino.









  

4. KARKARA — recipiente metallico sferico dal collo ricurvo consistente di tre tubi attorcigliati.











 

5. CINCILA — piccola brocca contenente circa un calice di vino. 










 6. KANTSI — corna di varie dimensioni, generalmente decorate con applicazioni in argento. Il più grande viene di solito fatto girare intorno alla tavolata. 




  
7. TASI— coppa semisferica senza manici.







Agli ospiti
“In Georgia esiste una tradizione: durante il convivio si fa sempre una riserva per ospiti casuali: noi aspettiamo sempre amici nuovi! È vero, non tutti venivano da noi con il cuore aperto e buone intenzioni… ma questo non ha mai cambiato il nostro approccio agli sconosciuti.” 



 Dai georgiani si usa bere fino in fondo “Al Signore”, “Alla Patria”, “A chi non è più con noi”. Nel resto dei casi si può semplicemente fare un sorso e rimettere il calice sul tavolo. 



Ogni ospite è una festa per i padroni di casa. Si affrettano a mettere in tavola il meglio che hanno. Dopo il lobio (fagioli in salsa di noci), sazivi (pollo in brodo di noci) e khachapuri (focaccia con formaggio) appaiono i kebab (roll di carne macinata con spezie ed erbe fresche) avvolti nei lavash (pane sottilissimo), carne cotta su carbone, gli scottanti khinkali (grossi ravioli con carne speziata ed erbe fresche), i fumanti dolma (involtini di carne macinata in foglie di vite). Si espone il vino. Tanto vino. E ogni vino dispone di un carattere individuale. I georgiani lo assaggiano ed attendono che faccia effetto. Dopo tre calici se ne può comprendere l’intensità.
 Un amico russo di Luarsab, essendo in visita a Tbilisi, è entrato in casa di georgiani: gli avevano chiesto di riparare il televisore. Nel mentre, la moglie del padrone di casa ha iniziato ad apparecchiare la tavola. Presto hanno iniziato ad arrivare i vicini di casa che hanno saputo dell’ospite. Alla fine sono stati a tavola tutta la notte e il televisore non è nemmeno stato riparato.
“Abbiamo una credenza straordinaria: il tempo che si passa comunicando con gli ospiti, non viene calcolato nel conto della vita. In questo modo, ogni ospite è prezioso, perché senza saperlo ci prolunga la vita! Gaumargios!”



Ai figli

“La nostra vita è prolungata anche dai figli. Secondo la saggezza popolare georgiana, la vera scuola per i bambini è la loro famiglia! La cosa più importante è che gli “insegnanti” siano buoni, severi e giusti, mentre le “lezioni” diventino una festa.”

Un bravo tamada è un perfetto oratore, capace di sentire e trattenere il pubblico, conosce la giusta misura nel canto, nella burla e nelle disquisizioni filosofiche. Il suo compito è creare uno spirito di unità nella compagnia. Non è una cosa facile da imparare. Si diventa tamada un poco alla volta, assorbendo a tavola la saggezza dei grandi fin dalla tenera età ed imparando a comprendere il vino.

“Durante il convivio di famiglia i bambini possono vedere tutti i parenti. Tutte le cose più importanti le apprendiamo a tavola. Avevo circa quattro anni quando ho assaggiato il vino per la prima volta, facendo il mio primo piccolo sorso. Grazie a questo gesto mi sentivo parte della famiglia. I parenti mi hanno sempre trattato alla pari e mi hanno sempre ascoltato come se fossi uno di loro. Riflettevamo insieme: convivio significa sempre dialogo. Uno può esprimere la propria opinione, senza però provocare un litigio. Ci troviamo tutt’ora nella casa di mio padre nella gioia e nel dolore e il vino ci aiuta a risolvere i problemi, toglie lo stress, addolcisce il cuore. In Occidente, gli psicoanalisti inventano terapie di gruppo e diversi altri metodi, mentre a noi tutto questo non serve. Tutti i problemi si risolvono in famiglia a tavola! Mio figlio ha cinque anni, è tutto suo padre: vuole sempre pronunciare discorsi. Sono i nostri figli a dover continuare le tradizioni del convivio georgiano, della nostra terra. Gaumargios!” 


La patria del famoso vitigno “Saperavi” è la valle di Alasani, una regione unica della Kakhetia con condizioni naturali uniche

Alle madri

“Abbiamo dovuto combattere molto, tanti uomini cadevano in battaglia. È per questo che la donna in Georgia è considerata la personificazione della forza sacra, della vita stessa, della sua continuazione…
Ad esempio, io ho la laurea in economia ed alcuni ristoranti, ma sia gli affari che la famiglia stanno in piedi grazie a Nino! Tutto questo esiste solo grazie alla sua energia smoderata!
L’insulto peggiore per un georgiano è la mancanza di rispetto nei confronti di sua madre. Tutti i bambini crescono nell'infinita adorazione per la propria madre. Non a caso, uno dei più celebri simboli della città di Tbilisi è il monumento alla Madre Georgia, eretto sulla collina di Sololaki nel 1958, l’anno in cui la città festeggiava l'anniversario per i suoi 1500 anni.

La storia ricorda tempi in cui solo uomini potevano partecipare alle feste, o quando gli uomini e le donne si sedevano su lati opposti della tavolata. Ora, a tavola, stiamo tutti insieme. Si possono addirittura incontrare donne che presiedono la tavola, svolgendo il ruolo di tamada.

Ultimamente, tanti utilizzano i social per comunicare. Non vedono gli amici, ma solo le loro fotografie! Ma le persone devono avere un approccio fisico, c’è qualcosa di vivificante, di eterno in questo. È il nostro codice identificativo. È per questo che finché esiste la Georgia, esisteranno il vino ed esisteranno i brindisi! Gaumargios!”











Fonte: http://www.vokrugsveta.ru/article/199785/

lunedì 14 marzo 2016

poche balle.

era il lontano 2013.
gli anni passano, ma la sensazione di farfalle sbronze dalle parti dello stomaco ritorna ogni volta alla vista del mio trichecone. ..
non c'è un cazzo da fare.

venerdì 11 marzo 2016

hai negli occhi i suoi occhi

Hai negli occhi i suoi occhi.
Sei parole distratte.
Mangi poesie d’amore.
Tu non scivoli altrove,
ogni volta è la morte.
Sei un cielo stellato.
Sei persa.

mercoledì 9 marzo 2016

nausea sartriana


io odio quando le persone credono che io sia scema. odio i giri di parole. odio le finte. non stiamo giocando a calcio cazzo, stiamo vivendo una vita insieme, perché mi devi prendere per il culo? mi viene da vomitare. e vorrei dire, chiarire, urlare… ma se c’è una cosa che ho capito negli anni è che non serve a un cazzo. chiarirsi non serve a un cazzo. o ci si accetta o ci si manda affanculo. ho mangiato un gelato mandorla e bacio. e in fondo non c’era l’amaro. in fondo c’era il fondo. l’amaro ormai l’ho digerito, non mi stupisce più. però che schifo però.

martedì 8 marzo 2016

un altro anno di mimose

Certo che è vero che gli anni rendono insensibili. Quando ero più piccola ogni separazione, ogni addio, ogni cambiamento mi spezzava letteralmente il cuore. Sentivo la mancanza dei posti. Mi mancavano i gradini su cui aspettavo mio fratello dopo la scuola. Mi mancava la panchina dove mi fermavo a fumare prima di entrare a casa. Mi mancava l’odore della mensa del campo scuola estivo. Mi mancava l’odore della metropolitana di casa mia. Mi mancava il colore verde della palestra delle medie. Adesso non mi manca più un cazzo. Sento solo un leggero e sordo dolore in fondo al cuore quando mi arriva addosso un ricordo, come la folata di un profumo. Nelle condizioni di una volta sarei andata in depressione dalla nostalgia del vecchio lavoro. Perché l’ho amato davvero. Ero felice tutti i giorni quando ci andavo e ora invece anche ripensandoci non mi manca e non vorrei tornare indietro. Ero troppo giovane quando ho capito che la vita, o almeno la mia vita, sarebbe stata una lunga sequela di addii. Ho conosciuto un sacco di persone e ho amato un sacco di persone e alla fine le ho perse quasi tutte per un motivo o per l’altro. Ho amato i posti, avevo un attaccamento malato per i posti e per le situazioni, forse perché è stato tutto un continuo cambiamento e io avevo disperatamente bisogno di creare tradizioni, di sentirmi parte di qualcosa. E invece è stato un continuo spostamento, distacco, strappo.. … addio. E ora ho smesso di sentire. Ora non mi aspetto di far parte di niente. Ho imparato dalle libellule la magia del cambiamento. E adesso sento solo un po’ di amarezza, perché non ho un posto e non ho nessuno con cui crearlo.    

dicono che la mia...






















































 
eppure non mi dà riposo
sapere che in uno o in due noi siamo 

una sola cosa.

lunedì 7 marzo 2016

1345

Sembrava fosse amore
invece lo era.
Era un lunedì
mattina
per la strada
odore di patatine fritte
vicino alla fermata di Gioia.
Ci vuole costanza
a buttare via un ricordo
e ci vuole coraggio
a dire di avere paura.

Sembrava fosse amore
invece lo era.
Tutto ritorna in bolla
se sai sbagliare e
chiedere scusa
anche ad un ricordo.

venerdì 4 marzo 2016

thank god it's madafucka friday

valutiamo insieme la mia condizione:
la mia vocazione primaria è quella della scrittrice, ma dopo aver letto parecchi libri ed aver appurato che non ho un talento, mi sono accontentata di un blog da teenager.
la mia vocazione secondaria è la cooperazione internazionale. sono nata per progettare azioni di sviluppo sociale locali e internazionali, partecipare a bandi, monitorare, fallire, avere successo e vedere i frutti concreti del mio lavoro sulle facce dei beneficiari. sono nata per tenere monitorata la situazione sociale nei paesi del terzo mondo, fare missioni e parallelamente effettuare dei privati studi di antropologia culturale.
invece...
lavoro in una ditta metalmeccanica in cui:
ho un responsabile pazzo schizofrenico, perfettamente uguale al cattivo di tutti i cartoni, di quelli che tramano la conquista del mondo, con tendenze sadiche e un tic nevrastenico all'occhio e alla spalla. 
ho un'altra responsabile russa. che ci starebbe anche dentro... ma è russa. e a me i russi stanno sui coglioni proprio per struttura genetica.
il mio lavoro consiste in numeri, carte e clienti psicopatici che sembrano sull'orlo del suicidio perché gli si ferma un forno o perché qualcuno si azzarda a non fargli un pompino esattamente nel momento in cui lo desiderano loro, perché loro pagano.
il 95% dei miei colleghi ha un quoziente intellettivo oscillante tra lo zero e un cazzo.
più del 95% dei miei colleghi consiste di uomini affamati di figa, anche scadente come la mia.

ecco.

e devo essere grata però. perché ho un contratto che mi permette di ammalarmi e stare a casa e di pagare l'assicurazione della macchina e forse un giorno anche l'affito di una stanza.

cazzo.
ma io vado a vivere nella valle della luna perdincibacco.