giovedì 9 giugno 2022

occupazione russa everywhere

Tutti, o quasi, mi ridevano in faccia, domandandomi che cazzo di senso abbia andare a fare il ponte in un posto che posso raggiungere in un'ora di macchina, un posto, tra l'altro, da nonnetti, senza nessun tipo di attrazione, tranne quattro pini e qualche casupola.

E più mi ridevano e più io m'impuntavo. 

Armo il mio canarino con un serbatoio pieno d'oro nero e parto.

Ho prenotato e cancellato la prenotazione 3 volte prima di riuscire ad arrivarci. 
Avevo ormai una fitta corrispondenza con l'hotel e mi sembrava quasi un dovere andarci.

Sbarco quindi nella località di F e l'albergo mi accoglie con la scritta CUCINA ANCHE RUSSA... e già sto male e mi domando per quale motivo poteva sembrarmi un dovere andare in un posto del genere.
Penso anche che "audaci i gestori, minchiadigesubambino!"
Penso anche che, probabilmente, il gestore è un morto di figa a cui una qualche scadente matrioska (perché quelle belle di certo non finiscono nella località di F.) ha fatto vedere un pezzettino di organo riproduttivo ed ora si sente in dovere di perorare il putinismo. 
Ho i coglioni in giostra, ma ormai sono lì, ho prenotato, sono stanca, ho bisogno di un bagno, ho bisogno di cibare il mio piccolo parassita e, soprattutto, non posso tornare sui miei passi girando i tacchi e dichiarando il mio disappunto a tutti coloro che mi ridevano in faccia. 

Entro e scopro che la realtà supera la mia malvagia fantasia: l'albergo non è di un coglione filorusso, l'albergo è di proprietà di russi
Una georgiana russofoba, va a farsi un ponte nello sperduto paesino di F. e capita in un albergo di russi.
Mi sembra un ottimo incipit per un noir. 
Mando giù il grumo di merda che mi si è inevitabilmente formato in gola e decido di coesistere con questa situazione surreale... tant'è che il proprietario comincia a fare il lumacone con me.
Deduco quindi che anche da piena si può rimorchiare. La cosa mi fa decisamente ribrezzo, ma i fatti bisogna pur constatarli. Il padre di mio figlio sostiene che devo aver fatto pena al gestore: povera, piccola, sola e incinta, così ha incluso nel pacchetto un po' di flirt per farmi sentire a mio agio. Dubito che un uomo eterosessuale possa disporre di tanta sottigliezza (tranne chiaramente il padre di mio figlio che non perde occasione per farmi sentire come una confezione ammaccata di pelati scontati al discount). 
Il gestore, chiamiamolo Tovarish E, si atteggia un po' da bohémien, con gesti scenici, tutto sorrisi, gentilezza e sguardi languidi. Ci tiene molto a sottolineare che è lui il proprietario della baracca, probabilmente per impressionarmi. Mi costa una fatica infinita cercare di nascondere il mio naturale odio arricchito di schifo per questo suo appiccicoso flirt da romanticone dannato. Sorrido educatamente, taglio le frasi e cerco di minimizzare il contatto. 

Devo però dar da mangiare al botolo. 
Mi siedo.
Decido di fare un passo verso il pacifismo ed esplorare la cucina ANCHE RUSSA.
La proposta gourmet comprende un unico piatto, i pelmeni, che tra l'altro non sono nemmeno russi ma ucraini di origine. Molto presto, scopriremo che anche il vino l'hanno inventato loro. 
I pelmeni sono dei raviolini di pasta sottile ripieni di carne macinata con cipolle ed erbette. Si servono con pepe nero e panna acida in dei piccoli vasetti di terracotta. 
Considerando però che mi trovo in questo albergo con ambizioni raffinate, mi portano i pelmeni su di uno stretto piattino rettangolare, molto fusion e scomodo come un tacco a spillo sullo sterrato. Chiedo di avere del pepe nero, al che Tovarish E mi guarda con quel suo sguardo umido, posizionandosi di tre quarti per maggiore effetto scenico e mi domanda: "o forse un po' di curry?". Ma povero stronzo! Chemminchia c'entra il curry (che probabilmente è una spezia considerata tipicamente russa) con i pelmeni e la panna acida, per l'amor di Cristo? Spalanco i miei grandi occhi e con un sorriso di plastica insisto per avere del pepe nero. Impegnati un po' di più per impressionarmi con proposte esotiche, coglione!

Ora mi propone del vino da accompagnare alla cena. 
Sorrido in silenzio, dando stupidamente per scontato che sia logico non ubriacarsi in gravidanza. 
Abbassa lo sguardo sul loft che si è fatto mio figlio dentro di me, ritorna a penetrarmi con lo sguardo, uscendosene con: "da quando sono arrivato in Italia, ho scoperto che qua le donne bevono tranquillamente anche in gravidanza". Respiro profondamente, ributto indietro nella memoria le mostruose percentuali di sindrome da feto alcolico che arrivavano dagli orfanotrofi russi. Sorrido educatamente e accetto un calice di vino, perché se non avessi bevuto in quel momento, probabilmente avrei dovuto passare all'autolesionismo per sfogare lo sgomento.  QUA! QUA LE DONNE BEVONO TRANQUILLAMENTE! Ma io ti prendo a scarpate in bocca! Non che abbia particolarmente a cuore la moralità delle italiane, per l'amor dell'ostia, ma un così palese rovesciamento dei fatti mi massacra. D'altronde, niente di nuovo: i russi devono averla nel sangue questa capacità di commettere crimini e poi accusarne gli altri. 


Incasso.
Nutro il figlio.
Mi concedo un bicchiere di vino.
Mi ficco sotto la doccia calda. 
Faccio degli esercizi di respirazione nel letto.
Medito. 

Sono riuscita a portarmi a casa i miei quattro giorni senza sclerare. 
Sono riuscita, anzi, a prendermi gioco della situazione.
Mi sono sentita molto adulta.

Adulta, ma rincoglionita. 

Il giorno dopo la partenza, Tovarish E mi telefona comunicandomi che ho lasciato delle mutande in un cassetto.

Voglio sprofondare.

Lo dice con quel suo languido tono di voce, facendomi intendere che ha captato il messaggio. Che poi, fossero chissà che mutande, ma sono dei triangoli di cotone nero. L'unico messaggio che potevano contenere poteva essere tipo "fatti un giro da Intimissimi, perdio". 

Mi propone di vederci a valle per passarmi il prezioso souvenir. 

Vorrei dirgli di buttare via le mutande e cancellare il mio numero, ma visto che sono adulta e superiore a queste sciocchezze, declino educatamente l'invito e gli prometto di andare su io a bere un caffè, prima o poi...

Chiudo e vado in bagno a lavarmi la faccia.

Devo imparare a debellare questo ribrezzo dalla mia personalità, dovrei provare ad incanalare la cosa su un'aracnofobia o qualcosa di simile. 
Vivrei sicuramente meglio.





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