giovedì 21 gennaio 2021

21

 Oggi è il ventunesimo giorno del ventunesimo anno del ventunesimo secolo. Ore ventuno.

Dicono di esprimere i desideri, oggi.

Ho la febbre, gente attorno a me in paranoia perché potrei avere il C19, questo maledetto figlio di puttana, a cui mi piace dare la colpa di tutti i miei guai.

Ho la febbre, ma bevo vino. Vino rosso che mi tinge i pensieri e i denti.

Esco sul balcone  a fumare una sigaretta, guardo il cielo e penso ai desideri che potrei avere.

Il primo, inconsapevole, stupido, non formulato desiderio è stato: “voglio vedere il mio ale”.

Poi mi sono ripresa: sono stata io a lasciarlo, sarebbe una presa per il culo, anche per il ventunesimo giorno, esprimere un simile desiderio. È una presa per il culo essere così perdutamente innamorata del ragazzo che mi ha spezzato la vita? Lo è.

Ho un sacco di desideri.

Tipo la pace nel mondo.

La guarigione dal disastro ambientale.

La salute delle persone più care.

Una maternità felice.

Un lavoro soddisfacente.

La pace dei sensi.

Ma il vero desiderio, quello che è nato dalle viscere, prima di chiedere alla razionalità di formularne uno, è quello di un suo abbraccio, del suo odore, della sensazione di pienezza, completezza, della luce che accendeva. Non è un desiderio giusto da mettere nel taccuino delle stelle per l’anno appena iniziato. È un desiderio che deve appartenere al passato, che non può più materializzarsi. È un ricordo che devo imparare ad amare in quanto tale: “non saremo più l’ale e la mariam”, come ha detto lui quell’ultima domenica pomeriggio.

Voglio però essere onesta almeno con me stessa. Non mi importa un cazzo di nessun altro desiderio razionale, se mi manca la base. E la base era la nostra magia. Me ne sono resa conto troppo tardi. Vedrò di alzare il mento e scornarmi con questo e tutti gli altri anni a venire, ignorando i desideri nati da sotto le scapole e con la consapevolezza che Jasmyn Ward me l’ha presentata lui.

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