domenica 27 settembre 2020

il paradosso della valigia senza manico

 

Esiste in russo “il paradosso della valigia senza manico”: quando la valigia è impossibile da trasportare, ma abbandonarla ci è impossibile. Impossibile perché nella valigia c’è tutta la vita: foto di sorrisi, profumi, ricordi di viaggio, biglietti di concerti, lettere, dischi e altre cianfrusaglie di inestimabile valore.

Mi trovo così. Ferma in mezzo ad una strada impolverata e piena di macchine. Sola. Seduta sulla mia valigia. La mia valigia dove ho accumulato con cura tutta la mia vita, dove ho investito la parte migliore di me (piccola, ma era tutto quello che avevo). Valigia che era la mia casa, la mia famiglia, quella che mi sarei portata ovunque, quella che conteneva il mio mondo. La valigia di cui andavo orgogliosa, che mostravo con fierezza, che credevo robustissima. Il manico era scassato da tempo. Il tempo ha indebolito il manico. L’ha usurato. Ho provato a ricucire, ma sono un disastro nel cucito; mi sono solo riempita le dita di piccole chiazze di sangue. Appeso ormai a dei fili, cercavo di trattenerlo con i denti. Poi si è staccato e mi è rimasto in mano.

Piango, piango e piango. Sembra che sia morto qualcuno. L’ultimo fiume così generoso, in effetti, l’ho generato solo in occasione di una morte. Dicono che piangere sia liberatorio, ma a me viene solo mal di testa, sono esausta, ho la nausea, fatico a respirare, mi brucia la faccia e non risolvo nulla.

Sono al buio.

Vorrei sbattere la testa contro un muro, sperando di togliermi questa sensazione di dosso. Sembra che sia crollato un edificio dentro di me e non trovo un posto sicuro per rifugiarmi.

Ciao, ho trentatré anni e non ho capito un cazzo.

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